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Il dolce cammino verso la sostenibilità
5 mesi fa
Abbiamo chiesto ad Alessandra Alberti, direttrice di Chocolat Stella SA, in che modo la sostenibilità viene integrata nella strategia aziendale

Nel 2022, il consumo totale di cioccolato in Svizzera ammontava a 96’545 tonnellate, ovverossia a 11 chili pro capite. Volgendo lo sguardo all’estero, nello stesso anno sono state esportate 131’845 tonnellate di cioccolato, per un valore di circa 1 miliardo di franchi.

Queste cifre danno un’idea della rilevanza dell’industria cioccolatiera svizzera, che dalle sue origini, agli inizi del XIX secolo, grazie alle innovazioni sviluppate dai suoi cioccolatai ha conosciuto uno sviluppo folgorante. Tra questi innovatori troviamo anche Chocolat Stella SA, pioniera del cioccolato biologico e impegnata da anni in favore di un commercio equo e solidale. Ma non solo: nella sede di Giubiasco, dove sono impiegate 65 persone, l’impresa lavora costantemente all’ottimizzazione del bilancio ecologico dei suoi processi produttivi, riducendo l’utilizzo d’acqua e ricorrendo all’energia solare. Considerando le sfide della nostra epoca, queste misure si rivelano tanto più pertinenti. In effetti, il cambiamento climatico sta avendo profonde ripercussioni sulla coltivazione di cacao, nonché sulle aspettative dei vari stakeholder in termini di efficienza energetica ed impatto ambientale e sociale dei processi produttivi.

Per misurare la portata di questi cambiamenti, abbiamo quindi chiesto alla direttrice Alessandra Alberti in che modo la sostenibilità viene integrata nella strategia aziendale di Chocolat Stella SA.

Alessandra Alberti, direttrice di Chocolat Stella SA
Alessandra Alberti, direttrice di Chocolat Stella SA

Ci parli della produzione e del motivo per il quale è importante acquistare le materie prime direttamente dai produttori
Siamo una delle 16 ditte associate all’associazione di categoria Chocosuisse, che producono cioccolato in Svizzera. 25 anni fa siamo stati i primi a produrre cioccolato bio e fairtrade. Nel tempo ci siamo specializzati sempre più in prodotti di nicchia e specialità di cioccolato, come il cioccolato vegano, il cioccolato senza lattosio, il cioccolato con ingredienti regionali e, naturalmente, il cioccolato biologico. Inoltre, realizziamo prodotti a marchio del cliente, il cosiddetto private label, che attualmente rappresenta 2/3 della produzione. Siamo due ditte, Chocolat Stella SA e Chocolat Bernrain AG, di proprietà della famiglia Müller.

Abbiamo dei reparti in comune, ma i siti produttivi sono due e alcuni prodotti vengono realizzati esclusivamente qui a Giubiasco e altri esclusivamente a Kreuzlingen. Inoltre, abbiamo un gruppo di ricerca e sviluppo in comune tra noi e la casa madre, con il quale ci troviamo il venerdì, spesso in videoconferenza, per discutere di tutti i nuovi prodotti che vogliamo lanciare. Attualmente esportiamo in 52 paesi diversi, sempre più lontani e più complessi dal punto di vista legislativo, che presentano un potenziale di crescita. I più importanti sono la Francia, il Regno Unito, la Germania, l’Italia, il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia. Siccome lavoriamo con almeno il 60% di materie prime bio, abbiamo bisogno di prodotti di qualità. Perciò collaboriamo con le cooperative cercando di finanziare in anticipo i raccolti e fornendo loro assistenza per migliorare determinate fasi che si effettuano sul luogo del raccolto, ad esempio la fermentazione e l’essiccatura. In questo modo, otteniamo la massima qualità delle fave di cacao che vengono coltivate. Fino a una ventina di anni fa avevamo quattro o cinque origini diverse, oggi ne abbiamo all’incirca venti, tra cui la Costa Rica, il Brasile, la Repubblica Dominicana, il Perù, l’India e il Madagascar. Di conseguenza, sono aumentate anche le cooperative con le quali collaboriamo. Dopodiché, il cacao viene trasportato via nave verso alcune aziende che lo tostano e ci forniscono la massa di cacao che utilizzeremo per le nostre ricette.

 

Quale ruolo svolgono le certificazioni nella promozione di un commercio equo e una produzione biologica?
Come menzionato, siamo specializzati in prodotti bio e fairtrade.

Queste certificazioni richiedono numerosi audit, che sono aumentati nel tempo per poter garantire la qualità ai consumatori. Inoltre, sono aumentati anche gli audit da parte dei clienti per i quali realizziamo prodotti in private label e che richiedono un ulteriore garanzia. Infine, sono anche iniziati i cosiddetti audit etici: il cliente vuole sapere chi sono i nostri fornitori, come li scegliamo, che controlli effettuiamo, oltre ad acquistare materie prime certificate bio e fairtrade. Il cliente vuole conoscere tutta la filiera, il che è impegnativo perché richiede certificazioni sempre più a 360 gradi.

 

La responsabilità sociale d’impresa è un ambito in continua evoluzione: quali sono le vostre priorità per i prossimi anni?
Siamo sempre alla ricerca di nuove nicchie e nuove materie prime, certificate bio e fairtrade, che possono essere combinate nelle varie ricette e al contempo di nuovi materiali per l’imballaggio. Inoltre, esportando in paesi così diversi e lontani, anche l’aspetto legislativo è molto rilevante. Quindi la complessità del tutto aumenta. Quando ho iniziato ero l’unico ingegnere alimentare: ora siamo in 5, anche a tempo parziale, per far fronte a queste nuove necessità. Al momento, complice l’inflazione e il franco forte, abbiamo alcune difficoltà in Europa. L’accesso ai mercati è quindi fondamentale anche per una piccola realtà ticinese che esporta nel mondo. Perciò è importante mantenere o migliorare gli accessi al mercato e ridurre, dove è possibile, le differenze legislative e di ostacoli tecnici al commercio. Al contempo, un’azienda ha successo solo grazie a un grande lavoro di squadra e ad un continuo spirito di innovazione. Quest’anno è stato stilato un rapporto di sostenibilità per il gruppo Stella Bernrain, che ci ha permesso di illustrare le varie attività svolte, di dimostrare gli sforzi fatti e di analizzare la situazione per identificare i margini di miglioramento. Le richieste sono aumentate parecchio negli ultimi vent’anni, però le abbiamo sempre viste come una fonte di valore aggiunto. Negli scorsi anni abbiamo implementato un sistema di utilizzo dell’acqua del sottosuolo per poter regolare la temperatura sia dei locali che delle macchine, attraverso termopompe e scambiatori di calore. È stato un grosso investimento ma ci ha permesso di eliminare il consumo di gasolio. L’anno prossimo abbiamo invece previsto di investire per realizzare un impianto fotovoltaico, che coprirà il 12-13% del nostro fabbisogno energetico. Riassumendo, oltre a una continua ricerca di innovazione e ottimizzazione dei processi, la sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra le tre dimensioni della sostenibilità, per avere un prodotto di qualità, innovativo e sostenibile, che abbia al contempo un prezzo che possa essere accettato dal mercato.