
La Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi) ha ordinato l'arresto del presidente del Sudan Omar Hassan el Bashir per crimini di guerra e per crimini contro l'umanità commessi in Darfur, senza però accogliere l'imputazione di genocidio che la Camera dei giudici, a maggioranza, ha ritenuto non essere stata provata. Il mandato - il primo della Cpi che colpisce un capo di Stato ancora in carica - è eseguibile da subito e la Corte ha rivolto un appello al governo del Sudan e agli Stati a cooperare perché Bashir venga al più presto arrestato e messo in carcere in attesa del processo. Con questa richiesta, la Cpi entra in una fase cruciale: se riuscirà a fare arrestare el Bashir, la sua credibilità non sarà più messa in discussione, se fallirà, il rischio è un passo indietro per la giustizia internazionale. "Il fatto che Omar al Bashir eserciti le sue funzioni di capo di Stato non esclude le sue responsabilità criminali e non gli garantisce immunità ", ha detto la portavoce della Cpi Laurence Blairon, che poco dopo le 14 ha reso noto la decisione insieme alla cancelliera della Corte, l'italiana Silvana Arbia. Di fronte al tribunale, alcune decine di cittadini sudanesi, per lo più ex rifugiati, hanno accolto la notizia con applausi. Soddisfatto anche il procuratore della Cpi, il giudice argentino Luis Moreno-Ocampo, che ha visto accolto l'impianto generale del suo capo di imputazione, secondo il quale el Bashir si è reso responsabile di una campagna di terrore e violenza condotta in Darfur contro i movimenti di opposizione al governo del Sudan, che ha colpito migliaia di cittadini innocenti, tra l'aprile del 2003 e il luglio 2008. La Camera della Corte ha ritenuto che ci siano prove "fondate" per perseguire Bashir per cinque crimini contro l'umanità (uccisione, sterminio, trasferimento forzato, tortura e stupro) e per due crimini di guerra (attacchi intenzionali contro la popolazione civile e saccheggio). Per cinque anni, le forze armate e la milizia Janjawid hanno ucciso, distrutto e saccheggiato villaggi, provocando almeno 35 mila vittime tra i civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80'000 e 265'000. Oltre due milioni e mezzo i rifugiati, centomila dei quali morti nei campi per fame, malattia e stenti. I giudici hanno però ritenuto a maggioranza che le prove presentate da Moreno-Ocampo non siano sufficienti per credere che "il governo del Sudan abbia agito con specifico intento di distruggere, in tutto o in parte, i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa". "Ma se il procuratore presenterà nuove prove e testimonianze, il mandato d'arresto potrà essere emendato includendo anche il reato di genocidio", ha detto la portavoce. "La cosa più importante ora è assicurare el Bashir alla giustizia", ha commentato Moreno-Ocampo. "Il Sudan non è un paese fallito e ha l'obbligo di rispettare la richiesta della Corte". La Cpi non dispone di alcuna forza di polizia propria e dipende dalla volontà degli Stati per l'esecuzione dei mandati di arresto. Il Sudan ha già rifiutato di estradare all'Aja il ministro sudanese degli affari umanitari Ahmed Haroun e il capo della milizia Janjawid, Ali Kosheib, per i quali la Cpi ha chiesto l'arresto del 2007. Se la richiesta della Cpi non venisse applicata, la Corte potrà rimettere la questione nelle mani del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Consiglio, peraltro, potrebbe avvalersi della facoltà di chiedere il "congelamento" del mandato di arresto per 12 mesi. Nessuna richiesta di questo tipo è per ora pervenuta all'Aja. La Corte ha reagito alle accuse giunte da Karthoum di sentenza politicizzata, chiarendo che la Cpi è un organismo "solo giudiziario, che parla la sola lingua della legge". E quanto all'accusa di mettere a repentaglio il processo di pace nella regione, la replica è che "una pace duratura può costruirsi solo se è fatta giustizia". ATS
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