Il premio Nobel per la pace 2019, Abiy Ahmed Ali, è il primo ministro etiope e riceverà oggi tale riconoscimento. La cerimonia di premiazione si terrà a Oslo, nella giornata internazionale della dichiarazione universale dei diritti umani. Ma chi è Abiy Ahmed Ali? Perché non se n’è parlato molto? Qual è il suo ruolo? Ma soprattutto, perché ha vinto lui il premio Nobel per la Pace? Per rispondere a queste domande abbiamo chiesto l’aiuto di Laura Ghiandoni, giornalista ed esperta in materia geo-politica etiope.Abiy Ahmed Ali, primo ministro etiope, viene definito il “Nelson Mandela etiope”. Una figura centrale per l’Etiopia e per tutta l’Africa, ma apparentemente sconosciuto e messo da parte dalla scia mediatica. “Quello che sta vivendo il Paese con lui è una rivoluzione” spiega Ghiandoni, ma “in Europa non lo conoscono”.L’Etiopia è una repubblica democratica federale, perché divisa in una federazione di stati che si basano sull’etnia. Le etnie nel Paese sono ben 86, con 9 stati di appartenenza ed è una divisione che sussiste una serie di problemi con i quali il Premier si deve interfacciare. Tra questi, ci sono gli oppositori politici che incitano alla separazione e alla divisione dello Stato, portando a una situazione instabile e di clima ostile.Ma, nonostante le difficoltà e una condizione di stallo data da una situazione politica vecchia e dominante che ha devastato l’Etiopia per trent’anni, Abiy Ahmed Ali ha rivoluzionato la situazione all’interno del paese. In soli due anni, il primo ministro è riuscito a raggiungere obiettivi che meritano la lente d’ingrandimento. In primo luogo, è riuscito, spiega l’esperta, “a raggiungere una pace storica tra l’Etiopia e l’Eritrea, e dopo soli tre mesi di governo” e ha aggiunto “è un pacificatore e la sua figura, caratterizzata da una grandissima capacità di diplomazia, è stata fondamentale”. Un traguardo che meriterebbe molta attenzione mediatica, al quale però è stato dedicato così poco da far passare l’evento come trascurabile. Perché, lo ricordiamo, la guerra tra Etiopia ed Eritrea è stata una guerra che è durata vent’anni, la quale ha causato la morte di duecento mila persone e 850’000 sfollati.Ma non solo, il primo ministro etiope, ha liberato 13'000 prigionieri politici, ovvero, sottolinea la giornalista italiana “chiunque avesse un’opinione e volesse manifestarla in pubblico, anche semplici attivisti”. Prigionieri politici dunque, che venivano arrestati per poco, troppo poco, e che oltre ad essere imprigionati a loro era riservata la tortura. Un bersaglio favorito, quasi scontato e comune in diversi parti del globo, è la figura del giornalista, “tutt’ora molti giornalisti raccontano la loro esperienza in cui hanno subito torture” spiega Ghiandoni, e aggiunge “ma anche ora, in realtà, fare delle fotografie è pericoloso, perché inusuale”.Abiy Ahmed, ha cercato il dialogo, ed è quello che fa una figura di mediatore come una del suo calibro, “ha fatto tornare molti di quelli che erano fuggiti” ha detto l’esperto e inoltre “ha visitato gli Stati Uniti richiamando i politici per invitarli a ricostruire il paese insieme a lui”. Ma, è un pioniere anche per le pari opportunità, perché ha stravolto il bilanciamento dei ministri in Parlamento ad Addis Abeba, sostituendone una parte con le donne e ottenendo così una situazione di bilanciamento tra i sessi. Inoltre, ha nominato, dopo una settimana di formazione del suo governo, la prima presidentessa donna dell’Etiopia e di tutta l’Africa, Sahle-Work Zewde.Infine, una parte fondamentale del lavoro portato avanti dal Premier è stata la libertà di stampa. “Me lo ricordo molto bene quel momento” spiega l’esperta “io ero presente quando è uscito l’articolo in cui veniva concessa la libertà ai media”. Una concessione che ha suscitato dell’incredulità nelle persone, perché “non sembrava vero” spiega. “La gente – dice Ghiandoni – era così abituata a una finta democrazia che c’è stato un momento di shock per tutti” e, prosegue spiegando, che le persone inizialmente non si azzardavano a parlare.È come se ci fosse, dice la giornalista, una sorta di “Abiy mania”, perché la gente ha ripreso a parlare in pubblico, ad avere un’opinione, “rovesciare una situazione del genere ferma per quarant’anni ha dell’incredibile” afferma Ghiandoni.Ma la chiave di volta sta nel conoscere questa figura, che per l’appunto rimane un po’ offuscata agli occhi degli europei. Per contro, però, hanno bene in mente con chi gareggiava il Primo ministro etiope: Greta Thunberg. Ma l’interlocutrice precisa che “non è stato un premio per esclusione” e aggiunge: “È stato un premio studiato, darlo a un’ambientalista forse era un po’ azzardato”.Ma dell’assenza della figura del premio Nobel per la pace dai media europei se ne sono accorti in molti, conferma la giornalista esperta in materia, “forse l’Europa si è dimostrata un po’ scettica riguardo questa figura”. Ma è cruciale, per l’appunto, “conoscere e appoggiare l’etiope” ha detto Ghiandoni, ma questo perché “può risolvere dei conflitti e svolgere un ruolo pacificatore in tutta l’Africa, terra martoriata dalle guerre”.
Martina Minoletti
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