Il personale dell'ambasciata svizzera in Sudan ha lasciato il Paese devastato dalla guerra e la rappresentanza diplomatica nella capitale sudanese Khartoum è stata chiusa. L'annuncio è arrivato ieri sera via Twitter sul profilo del direttore del Dfae Ignazio Cassis. Il Dipartimento diretto dal ticinese non sta tuttavia organizzando il rimpatrio degli svizzeri presenti nel Paese africano. Il Dfae ha riferito che sta collaborando con i suoi partner per "aiutare al meglio i cittadini svizzeri in circostanze difficili". Questi possono chiamare la helpline e informazioni aggiornate in funzione della situazione sul posto - ha ricordato il Dfae - sono regolarmente pubblicate su Internet.
Sostegno di Francia e Italia
L'agenzia di stampa francese Afp aveva riferito in precedenza, facendo riferimento a fonti governative, che la Svizzera aveva chiesto aiuto alla Francia per l'evacuazione dei suoi cittadini. La Francia avrebbe evacuato un totale di circa 100 persone fino al tardo pomeriggio di ieri. In un primo momento non erano disponibili informazioni sulla loro nazionalità. Sempre ieri, il Ministro degli esteri italiano Antonio Tajani ha annunciato l'evacuazione di circa 200 civili, di cui 140 italiani, diversi cittadini svizzeri, alcuni dipendenti della Nunziatura Apostolica e una ventina di cittadini europei. Berna non ha però confermato la presenza di svizzeri sui voli organizzati dall'Italia.
In pochi vogliono partire
Stando al Dfae, sono circa un centinaio i cittadini svizzeri in Sudan. Serge Bavaud, capo della gestione delle crisi presso il Dfae, in un incontro con i media venerdì a Berna, aveva precisato che la Confederazione non ritiene che tutti siano intenzionati a fare le valigie, anzi. Molti di essi hanno la loro vita in Sudan e alcuni hanno la doppia cittadinanza. Fino a venerdì solo una decina di persone aveva in effetti espresso la volontà di andarsene.
Cosa sta succedendo
Il caos in Sudan, già teatro di un colpo di Stato militare nel 2021, è scoppiato sabato scorso, con scontri fra le unità dirette dai due generali più potenti del Paese. All'origine, la rivalità politica fra Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio sovrano e quindi de facto capo di Stato, e il suo vice, il filorusso Mohamed Hamdan Dagalo, alla guida del gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rfs).