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Più si avvicina dicembre e più cresce il clamore: gli annunci ufficiali e le indiscrezioni si susseguono, alimentando un dibattito non sempre condotto in buona fede. Scorrendo l’attualità, infatti, ci si imbatte spesso in informazioni imprecise e fuorvianti, talvolta deliberatamente false. Nell’interesse di un dibattito costruttivo e basato sui fatti, risulta quindi opportuno fare chiarezza.
Per insinuare che il mercato europeo starebbe diventando irrilevante per la Svizzera rispetto al resto del mondo, taluni affermano che negli ultimi vent’anni le esportazioni verso gli Stati Uniti e la Cina sono aumentate notevolmente, mentre quelle verso l’UE sono diminuite. Tuttavia, un rapido sguardo ai dati prova esattamente il contrario. Non solo le esportazioni verso l’UE non sono affatto diminuite, ma negli ultimi anni sono cresciute considerevolmente di più rispetto a quelle verso gli Stati Uniti e la Cina. Inoltre, così come i Bilaterali I e II non ci hanno impedito di concludere accordi commerciali preferenziali con altri partner, lo stesso varrebbe per un nuovo accordo con l’UE. Ma per quanto diversificare i mercati di esportazione tramite nuovi accordi commerciali continui sicuramente ad essere una strategia vincente, pretendere di poter sostituire il mercato unico europeo è illusorio, specialmente nel contesto attuale. L’Asia è certamente un mercato dal grande potenziale per l’industria svizzera, nondimeno la notevole distanza geografica, l’aumento dei costi di trasporto, le tensioni geopolitiche e la chiusura di importanti rotte marittime, oltre al rallentamento dell’economia cinese e alle violazioni dei diritti umani del partito comunista, ci dovrebbero far riflettere. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, in preda a forti tensioni interne e sempre più inclini a ricorrere a politiche commerciali protezionistiche. Preservare i vantaggi di un accesso privilegiato al mercato interno del nostro partner commerciale più vicino e importante dovrebbe quindi risultare un’evidenza.
Altri ancora utilizzano l’esempio della Brexit per dimostrare che tagliare i ponti con l’UE non arrecherebbe nessun danno degno di nota alla Svizzera. Anche in questo caso, sembrano convenientemente dimenticare alcuni fatti. In primo luogo, numerosi studi dimostrano che, dopo l’uscita dall’UE, l’economia britannica ha subito una contrazione del PIL compresa tra il 2 e il 5%. Secondariamente, con la fine dell’equivalenza borsistica, numerosi importanti intermediari finanziari globali hanno deciso di lasciare Londra a favore delle altre principali borse mondiali. Inoltre, il deteriorarsi delle condizioni economiche ha recentemente portato il nuovo primo ministro inglese Keir Starmer ad annunciare la necessità di aumentare le imposte, il che avrebbe immediatamente indotto numerosi facoltosi contribuenti a contemplare la possibilità di lasciare il Regno Unito, peggiorando ulteriormente la situazione delle finanze pubbliche britanniche. Da ultimo, nonostante fosse una delle principali promesse dei suoi fautori, la Brexit non ha ridotto l’immigrazione, che nel 2022 ha raggiunto un picco storico di circa 760'000 arrivi. La fine degli Accordi bilaterali, che alcune iniziative popolari lanciate recentemente potrebbero provocare, comporterebbe molto probabilmente conseguenze simili per la Svizzera.
Infine, c’è chi sventola per l’ennesima volta lo spauracchio della perdita di sovranità, affermando che un nuovo accordo con l’UE metterebbe a repentaglio la democrazia diretta con una ripresa “automatica” del diritto europeo. Ebbene, anche in questo caso ci troviamo di fronte a un’evidente storpiatura della realtà. Infatti, il pacchetto Bilaterali III non comporterebbe una ripresa totale del diritto del mercato unico, ma unicamente delle normative europee relative ai settori coperti dagli accordi, come ad esempio i trasporti terrestri, il reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità, la libera circolazione delle persone o l’agricoltura. Per di più, anche in questo caso, il Parlamento ed il Consiglio federale continuerebbero ad essere sistematicamente consultati e, ricordiamolo, il diritto di referendum ed iniziativa popolare non verrebbero in alcun modo scalfiti.
In conclusione, oltre ad essere spesso impreciso e talvolta falso, molto di ciò che viene argomentato per discreditare un nuovo accordo con l’Unione europea presenta un difetto ancor più grave. Non propone alcuna alternativa alla via bilaterale, che da vent’anni ci offre invece tutti i vantaggi di un accesso su misura al mercato unico europeo senza i doveri di un’adesione. D’altronde è proprio in questo che risiede il valore degli Accordi bilaterali: garantire gli interessi essenziali della Svizzera senza compromettere la sua sovranità.