L'industria della moda si prepara a un 2025 particolarmente tumultuoso e incerto. È arrivato un rallentamento ciclico a lungo temuto. I consumatori, segnati dal periodo di alta inflazione, sono sempre più sensibili ai prezzi. C'è anche la sorprendente ascesa dei dupe, ossia delle copie, e un boom di vendite del pre-loved, ossia l'usato, mai visto prima.
Problemi a livello globale
A livello globale i problemi macroeconomici del commercio mondiale pesano così come il cambiamento climatico fattore critico anche per il fashion che è tra i principali imputati con la sua industria inquinante. E di conseguenza, è probabile che il 2025 sia un momento di resa dei conti per molti marchi, magari meno agili di altri ad adattarsi al nuovo mercato. Sono alcune delle evidenze del McKinsey Global Fashion Index uscito l'11 novembre in cui si fa il punto sulle prospettive dell'industria della moda. Si prevedono ricavi in ribasso con il lusso, che ha guidato la creazione di valore negli ultimi anni, decisamente in calo, anche se non in tutti i paesi (in particolare il Giappone e l'India). I leader della moda intervistati nel rapporto annuale BoF-McKinsey State of Fashion Executive Survey sono pessimisti: del resto lo erano già lo scorso anno. Solo il 20% prevede miglioramenti nella fiducia dei consumatori nel 2025, mentre il 39% vede peggiorare le condizioni del settore.
Spiragli di speranza per il turismo in Europa
In particolare, spiragli per il ramo possono arrivare dal calo dell'inflazione e dall'aumento del turismo in Europa, dalla resilienza degli individui ad alto patrimonio netto negli Stati Uniti e dai nuovi motori di crescita in Asia per contrastare l'incertezza sulla spesa dei consumatori in Cina, che si sta ancora riprendendo dalla pandemia. La Cina rimarrà il centro di gravità della regione, ma poiché il paese è colpito da venti contrari macroeconomici, i marchi si concentreranno su altri mercati asiatici, in particolare Giappone, Corea e India.
Sfida per i brand
La sfida per i marchi, si legge nello studio, è ovviamente non perdere l'attenzione degli acquirenti che stanno dando sempre più priorità al valore. I marchi insomma devono dimostrare ai clienti perché i loro prodotti valgono il prezzo. Altra cosa interessante del rapporto riguarda i target: mentre l'industria della moda ha storicamente dato priorità agli acquirenti più giovani, la "Silver Generation" di clienti over 50 sta crescendo come percentuale della popolazione complessiva e della spesa per la moda. Nel 2025, i marchi trarranno vantaggio dal corteggiamento di questi clienti spesso trascurati. Non tutti i brand sono abili nel fare questi cambiamenti. Spesso, sono i nomi più nuovi, "sfidanti", non gravati da concezioni storiche su prodotti, negozi e clienti, a emergere. Ciò è particolarmente vero nella categoria dell'abbigliamento sportivo, dove stanno emergendo tanti marchi che non c'erano, conquistando rapidamente quote di mercato. Da diversi anni inoltre la catena della produzione è nel mirino: le aziende si sforzano di ridurre l'eccesso di inventario e minimizzare il rischio di carenze.
Pressioni sulle emissioni di CO2
Le pressioni sui margini, così come le pressioni dei governi di tutto il mondo per ridurre le emissioni e gli sprechi di moda, guideranno i progressi nella gestione dell'inventario che sarà sempre più decisivo per la sopravvivenza delle maison. Nel frattempo nei negozi di alta gamma ma anche in molti con costi più abbordabili e perfino in catene importanti si sono affacciati i prodotti di riciclo: maglioni in cashmere riciclato, rigenerato fino all'80 per cento si trovano ad esempio da Rifò, da Patagonia, Papini, North Sails ma anche da Arket, Reformation e da Uniqlo (al momento solo con le sciarpe). Se a questo si somma il boom dei negozi pre-loved e dell'e-commerce dell'usato da Vinted a Wallapop ecco che sembra affermarsi nel comportamento dei consumatori un driver potente dalla consapevolezza della crisi climatica oltre che dalla crisi economica che se non colto diverrà un altro elemento di contrazione produttiva dell'industria.