Come accade spesso, quanto viene raccontato dai media è il frutto della propaganda alimentata dalle fonti governative. Infatti la battaglia per Mosul viene presentata, come lo scontro decisivo contro lo Stato islamico. Insomma la conquista della seconda città irachena dovrebbe infliggere un colpo decisivo ai jihadisti ed indebolirne la capacità di usare l’arma del terrore contro l’Europa. La realtà non è questa. L’ISIS continua ad essere una marionetta usata dagli Stati Uniti e dalle monarchie arabe del petrolio. Il loro obiettivo non è distruggere lo Stato islamico, ma usarlo nella lotta contro il regime siriano di Assad e contro l’Iran e la Russia che lo sostengono. Questa è la spiegazione del fatto che migliaia di jihadisti sono fuggiti negli scorsi giorni con le loro famiglie a Raqqa, capitale dello Stato islamico, dove è situata anche la centrale operativa che trasmette ordini ai terroristi presenti in Europa. La fuga è avvenuta alla luce del sole con l’evidente consenso degli Stati Uniti. Infatti i cacciabombardieri della presunta Coalizione internazionale non hanno colpito la lunga e ben visibile colonna di mezzi dell’ISIS. Gli strateghi diranno che è stata una scelta giusta, poiché la fuga di migliaia di jihadisti renderà più facile la conquista di Mosul. Vi è da dubitare che questa mossa tattica renderà meno sanguinosa la battaglia per la conquista della seconda città irachena.
Ma la questione è un’altra: la missione della Coalizione internazionale è l’annientamento dello Stato islamico e la conquista di Mosul avrebbe dovuto essere solo un tassello di questa strategia. La decisione americana di consentire a migliaia di jihadisti di fuggire in Siria è in palese contraddizione con questo obiettivo, a tal punto da spingere Francois Hollande ad inalberarsi. Infatti gli attentati che hanno ferito profondamente la Francia hanno spinto l’Eliseo ad incrementare il proprio impegno militare contro l’ISIS. Quindi, come ha dichiarato il Presidente francese, dover prendere atto che la Coalizione, di cui fa parte il suo Paese, ha consentito a migliaia di jihadisti di trasferirsi tranquillamente in Siria, dove sembra essere situata la centrale del terrore, è stato considerato un affronto impossibile da accettare e una presa in giro che peserà anche sull’esito delle elezioni presidenziali in programma il prossimo mese di aprile.
Soltanto un “ingenuo”, come il presidente Hollande, puo’ ancora non aver capito che lo Stato islamico potrebbe essere rapidamente annientato, ma che non verrà distrutto, poiché deve ancora svolgere il compito per cui è stato creato e continua ad essere appoggiato da Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati del Golfo. Oggi serve appunto per cercare di rovesciare le sorti della guerra in Siria che grazie all’intervento russo stanno volgendo a favore del regime di Assad. In quest’ottica si deve leggere anche la campagna occidentale contro i bombardamenti di Aleppo. Sarà interessante vedere se la guerriglia urbana dei jihadisti impegnati nella difesa di Mosul, che useranno i civili come scudi umani, non costringerà la famosa Coalizione internazionale a fare altrettanto per annientare i focolai di resistenza dello Stato islamico. Del resto è quanto hanno già fatto gli Stati Uniti alcuni anni orsono per prendere il controllo di Fallujah, allora nelle mani dei seguaci di Al Qaeda.
La verità è che la guerra in Iraq e Siria fa parte dello scontro globale avviato dagli Stati Uniti contro Russia, Iran e Cina. All’interno di questo quadro di riferimento i combattenti dello Stato islamico sono utilizzati come lo furono i Talebani per sconfiggere l’Unione Sovietica in Afghanistan. La lotta al terrore è solo un obiettivo secondario.
Il dramma è che i piani americani non stanno funzionando come Washington sperava. In Medio Oriente, la Turchia si è messa di traverso e sta complicando i piani di Washington. Infatti il presidente Erdogan, spaventato per il crescente aiuto americano ai combattenti curdi che potrebbe preludere all’appoggio statunitense alla creazione di uno Stato curdo, ha inviato un migliaio di soldati in Iraq per partecipare alla conquista di Mosul ed evitare che i peshmerga si approprino del trofeo della conquista di Mosul. Il Governo iracheno, appoggiato dagli Stati Uniti, chiede il ritiro delle truppe turche, ma Erdogan fa finta di non sentire. L’incognita turca è solo una delle imprevedibili variabili del futuro assetto politico del territorio strappato allo Stato islamico in Iraq. Ad esso si devono aggiungere il ruolo dei curdi, quello dei turcomanni, delle comunità cristiane e lo scontro tra sunniti e sciiti. La sconfitta dell’ISI è destinata a riportare alla ribalta tutti questi conflitti.
I piani americani non funzionano nemmeno in Asia, dove le Filippine, finora fedele alleato di Washington, hanno riannodato i rapporti con la Cina, facendo capire di no0n essere disposti a continuare ad essere una marionetta degli americani nello scontro con Pechino. Anche in Europa non tutto fila liscio. L’Unione europea ha respinto la richiesta americana di un indurimento delle sanzioni contro la Russia per i bombardamenti di Aleppo. Inoltre Berlino e Parigi stanno riannodando i fili del negoziato con Mosca e Kiev per cercare di raffreddare le tensioni tra Russia ed Ucraina. Anche i negoziati commerciali con l’UE (il famoso Ttip) volti a creare un’area di libero scambio sembrano ormai falliti anche grazie al no della Vallonia ad un accordo simile con il Canada. Insomma, tutto sembra andare storto per gli Stati Uniti. Ma il leone ferito è ancora piu’ pericoloso. C’è quindi da temere dall’ormai certa prossima presidenza di Hillary Clinton che non a caso gode del sostegno dei Neocons che hanno spinto gli Stati Uniti in Iraq.
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