Società
Social vietati ai minori di 16 anni? "Una misura simile non protegge i giovani, bisogna seguirli"
©Chiara Zocchetti
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Redazione
4 ore fa
L'Australia ha deciso di vietare i social media ai minori di 16 anni, una misura che in Svizzera troverebbe il favore della maggioranza della popolazione. È utile oppure no? "I divieti possono essere raggirati, bisogna dare un significato diverso a queste piattaforme", spiega il direttore di Pro Juventute Svizzera italiana.

Instagram, TikTok, Facebook e compagnia vietati ai minori di 16 anni? La maggioranza degli svizzeri sarebbe favorevole, come emerso da un sondaggio pubblicato negli scorsi giorni. Una misura che è diventata realtà in Australia grazie all'adozione da parte del Parlamento di Canberra di un disegno di legge ad hoc, considerato fra i più rigidi al mondo. L'obiettivo è uno "proteggere gli adolescenti fino ai 16 anni da potenziali danni". Un tema d'attualità in diversi paesi, dagli Stati Uniti alla Spagna, passando per la Cina, dove si registrano diverse strette all'uso di queste piattaforme per i più giovani. "Perché arrivare a un divieto?", spiega a Ticinonews Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Svizzera italiana. "Se vogliamo vedere la questione sotto un punto di vista semplice da descrivere, è come mettere un cerotto ad un problema che non si risolve in questo modo. I divieti possono essere raggirati e trasformati, si trova sempre un escamotage. Porre un divieto sull'utilizzazione dei social media, in qualsiasi forma questo venga formulato, non ci tutela e protegge davanti al pericolo che ogni giorni i ragazzi incontrano se non sono adeguatamente sostenuti in questa esperienza molto importante", aggiunge.

"Bisogna dare un significato diverso ai social"

 Secondo Lodi "per affrontare e risolvere alla radice questo problema, bisogna considerare un aspetto molto importante: i social sono imprese commerciali che si rivolgono ai giovani considerandoli dei consumatori. Per questo gli aspetti pedagogico-educativi passano in secondo piano". Ed è qui che sta la sfida maggiore. "Bisogna recuperare questi aspetti agendo in un ambito che non è strettamente o completamente legato ai social e alle nuove tecnologie, ma è inerente al mondo dell'esistenza. È qui che la pedagogia torna in gioco prepotentemente". Ma come farlo? "Per alcuni giovani è più importante ciò che viene detto o comunicato sui social, rispetto a quanto detto o comunicato all'interno del proprio contesto di vita, come quello famigliare o scolastico. Su questo tipo di piattaforme qualsiasi persona ha diritto di parola e questa viene considerata come vera, anche se spesso non corrisponde alla realtà. Una dinamica dovuta al fatto che spesso, dietro a queste applicazioni, ci sono interessi che si appropriano dell'esistenza dei giovani. L'importanza dei social è comunque comprovata, ed è per questo motivo che va risemantizzata: bisogna dare un significato diverso a questo tipo di piattaforme, rispetto a quello che siamo stati in grado di dare fino a oggi", conclude Lodi.