
Non sono membro della commissione scolastica che sarà chiamata a esaminare il dossier “la scuola che verrà”. Siamo alle fasi della consultazione del DECS, il Consiglio di Stato non si è ancora espresso. Non sono un tecnico, ho letto con attenzione il progetto in consultazione, da esaminare in collegamento anche con il “Piano di studio della scuola dell’obbligo”.
Mi è occorso di leggere recentemente un saggio di Carole Barjon intitolato “Mais qui sont les assassins de l’école” (ed. Robert Laffont). La Barjon è redattrice capo aggiunta di politica interna del settimanale parigino L’Obs, notoriamente di sinistra. L’autrice non è quindi sospetta di essere una conservatrice o peggio reazionaria. Consiglio a tutti coloro che istituzionalmente si occupano del progetto la lettura questo saggio. Il 20 % degli allievi francesi esce dall’obbligo scolastico incapace di leggere e di scrivere. Questi risultati disastrosi sono l’esito di metodi di insegnamento e in genere di una politica scolastica altamente ideologica, ispirata dai guru della pedagogia, professori universitari insediati ai vertici dell’amministrazione educativa dello Stato. Leggendo il saggio i lettori vi troveranno i metodi introdotti, attorno agli anni ottanta, da tutti i governi francesi di sinistra e di destra e dai rispettivi ministri dell’educazione nazionale che hanno seguito ciecamente e senza possibilità di reale verifica e contrasto i progetti riformatori degli ispiratori all’interno del mostro amministrativo: una casta impenetrabile e insensibile a ogni critica.
Professori di scienze dell’educazione, di fatto autori delle leggi in materia, gli assassins della scuola. Più interessati ai metodi che ai contenuti dell’insegnamento. Ricercatori universitari che hanno introdotto nelle scuole dell’obbligo metodi di studio pensati e in uso allora a livello universitario. Quasi tutti questi mostri sacri, intervistati nel 2016 dall’autrice, riconoscono il fallimento delle politiche da loro promosse negli anni ottanta.
Leggendo il progetto in consultazione della “scuola che verrà” si deve fare lo sconto culturale che la provincia è chiamata a pagare 30 anni dopo. Vi si trovano infatti, pressoché ripresi letteralmente, i presupposti ideologici della legislazione francese, nonché dei principali padri fondatori Philippe Meirieu e Francois Dubet, autori della legge Jospin. Termini quali “le sequenze”, “le competenze trasversali”, messaggi quali “l’allievo che costruisce se stesso il proprio sapere”, la grammatica casualmente dedotta dalla lettura di un testo e non dallo studio della materia, le competenze invece delle conoscenze, la lingua insegnata trasversalmente da tutti i docenti e non solo dal docente specifico (“ca n’a pas marché”: Meirieu). O ancora lo studio della struttura e della decostruzione del testo che prevale sui contenuti, seguendo tematiche in auge negli anni ottanta, in particolare gli autori Derrida e Barthes. Questa vena rivoluzionaria prevedeva che l’allievo impari a leggere su testi funzionali (cartelloni pubblicitari), perché la cultura è “violenza simbolica”.
“Pensavo che gli allievi sfavoriti dovessero imparare a leggere sulle istruzioni di uso degli elettrodomestici, perché più vicini a loro. Mi sono sbagliato“ (Meirieu). Si legge a pagina 35 del piano di studio ticinese: l’allievo riesce a capire istruzioni tecniche relative all’utilizzo di un apparecchio elettrodomestico!
I contenuti del collège (scuola media) devono adattarsi a ciò che deve capire il più debole degli allievi che ne esce (Dubet).
Quanto ai docenti, scrivevano i cattedratici, l’ultimo loro compito è trasmettere conoscenze. Ciò che conta è il metodo, non il contenuto, l’allievo deve costruire da solo il proprio sapere. Semmai il docente è un tessitore di legami sociali, non un referente. Non insegna ciò che pensa, né ciò che pensa il gruppo di persone al quale appartiene. È invece una specie di allenatore, che mette sul tavolo delle “situazione-problemi” (vedi pagina 13 e 25 della scuola che verrà) affinché l’allievo operi da solo (Meirieu).
Risparmio ai lettori ulteriori confronti imbarazzanti. Cerchiamo di impedire oggi gli errori che la scuola francese dell’obbligo ha commesso dagli anni ottanta e dei quali oggi si pente amaramente per i risultati disastrosi.
Andrea Giudici, deputato PLR al Gran Consiglio
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