La riforma EFAS promette di uniformare il finanziamento delle cure e di ridurre i costi sanitari. Ma cosa significa tutto questo per la qualità delle cure, per il personale sanitario e per noi pazienti?
La riforma mira a un finanziamento “uniforme” delle cure sanitarie, coinvolgendo sia le assicurazioni malattia sia i Cantoni, ma a che prezzo?
A prima vista, questa riforma sembra una soluzione sensata per ridurre i falsi incentivi e incoraggiare le cure ambulatoriali, meno costose e spesso più efficaci per i pazienti. Lo scopo dichiarato è quello di distribuire i costi delle cure in modo più equo, con i Cantoni che contribuirebbero al 26,9% delle spese e le casse malati al 73,1%. A prima vista parrebbe un piano ideato per migliorare l’efficienza e ottimizzare le risorse, ma in realtà è tutto l’opposto.
Chi lavora nella sanità sa bene cosa significa operare sotto pressione: turni estenuanti, carenza di personale e un carico emotivo spesso difficile da sostenere. La riforma EFAS rischia di peggiorare ulteriormente la situazione. Infatti, con la necessità di ridurre i costi, sono proprio gli ospedali pubblici, accessibili a tutti, a trovarsi costretti a fare risparmi. E come spesso accade, i tagli si riflettono sulle risorse umane e sulle condizioni di lavoro.
Se EFAS venisse approvata, chi lavora in prima linea si troverà probabilmente ad affrontare una pressione ancora maggiore, con meno tempo da dedicare a ciascun paziente e un numero smisurato di pazienti da assistere. E questo, alla fine, non può che incidere negativamente sulla qualità delle cure e dei trattamenti che ciascuno di noi riceve.
Uno degli aspetti più ambigui di EFAS è il trasferimento del controllo sui fondi pubblici dalle mani dei Cantoni a quelle delle casse malati, che diventerebbero responsabili di gestire 13 miliardi di franchi in più, oltre ai 35 miliardi già raccolti dai premi. Di questo passo, si consegnerà alle assicurazioni un potere ancora più grande sul nostro sistema sanitario, senza un effettivo controllo democratico. Il rischio è che queste si concentrino sulle prestazioni più lucrative, lasciando al pubblico i casi più complessi e costosi.
Non è solo il personale sanitario a subire le conseguenze di EFAS: anche noi pazienti ci troveremo a pagare di più. La riforma prevede infatti che chi ha bisogno di cure a domicilio o in una casa di riposo dovrà pagare di tasca propria, eliminando i limiti di spesa attuali. Significa che chi ha più bisogno potrebbe trovarsi in difficoltà a pagare le cure essenziali, peggiorando ulteriormente il gap tra chi può permettersi un’assistenza privata e chi no.
La riforma EFAS è un campanello d’allarme. È essenziale difendere una sanità pubblica di qualità e accessibile a tutti, ma questo non può avvenire attraverso tagli e privatizzazioni che mettono a rischio sia noi pazienti che chi lavora nella sanità pubblica. Non possiamo permetterci di sacrificare la qualità delle nostre cure e il benessere del personale sanitario per un sistema che sembra più orientato al profitto delle casse malati che al nostro benessere sociale e collettivo.
Invito tutti a riflettere e a considerare con attenzione le conseguenze disastrose di questa riforma per la nostra salute e per quella di chi, ogni giorno, dedica la propria vita a prendersi cura di noi.
Matilde Peduzzi, GISO