Purtroppo la digitalizzazione si è presa non solo una parte di mansioni che ora non esistono più, ma ha assopito anche la sensibilità dei funzionari che dovrebbero essere di supporto alle persone alla ricerca di impiego. Un disoccupato pur di uscire dagli URC è disposto a trovare anche un lavoro diverso da quello precedente, ma spesso tali ricerche sono considerate nulle, poiché non in linea con ciò che il consulente ha stabilito per il tuo profilo. Il sostegno in questi casi viene meno, perché avendo proposto una ricerca diversa si incorre nel rischio di una penalità salariale.
È davvero impossibile sistemare il mercato del lavoro? O è semplicemente più comodo lasciare i singoli individui a sé stessi e dare la colpa alla persona disoccupata? Non sempre il mercato del lavoro propone posizioni in linea con il proprio profilo; anche l’invio di candidature spontanee è limitato al numero di aziende che operano in un determinato settore e hanno quelle precise mansioni.
Da cinque mesi mi impegno a cercare un posto di lavoro adeguato alle mie competenze ambendo anche “solamente” allo stipendio minimo, ma senza fortuna. Il fattore che mi rende dubbiosa sul meccanismo dell’URC è il suo stesso funzionamento: sembra quasi che mandare un minimo di tre candidature a settimana sia la soluzione perfetta per ogni persona in cerca di lavoro. Evidentemente questo sistema presenta delle falle, che potrebbero essere benissimo risolte se i funzionari facessero davvero da trait d’union tra aziende e persone alla ricerca di impiego. Non tutte le persone sono in condizioni di salute ottimali, tuttavia si impegnano a cercare impiego in funzione alle loro possibilità; spesso però non vengono né comprese e né sostenute adeguatamente.
Dai corsi proposti dall’URC ho solo potuto imparare la loro di idea di “Curriculum Vitae perfetto” o come ci si dovrebbe comportare durante un colloquio di lavoro, situazioni viste e riviste che danno alla nausea dopo poco tempo, dato che non portano a reali soluzioni per nessuna delle parti.
Questo purtroppo si riversa poi sulle vite di tutte le persone che si ritrovano in una situazione di ricollocamento: la frustrazione porta ad un peggioramento generale della vita, dell’umore e dei rapporti umani in generale.
In Ticino ormai non parliamo più di solo manodopera frontaliera, ma anche di dirigenti e datori di lavoro provenienti da oltre confine, che vivono la realtà italiana accettando/offrendo dei contratti di lavoro adeguati al loro paese.
Sono stanca di sentirmi dire che ho aspettative troppo alte riguardo alla società e che mi lamento di una realtà che esiste solamente nella nostra mente. Se questo è il sentimento che aleggia tra quasi tutte le persone nella mia situazione, significa che questo senso di smarrimento non sono miei vaneggiamenti personali.
Una cosa su cui però hanno ragione è il fatto che non dobbiamo credere di essere i soli. Per questo che con questo articolo invito chiunque si trovi nella mia situazione o che sia riuscito a uscirne indenne affinché condivida la sua esperienza, perché solo così possiamo veramente ottenere una riforma concreta del sistema degli Uffici Regionali di collocamento.
Ivana Bogosavljevic