Il prossimo 15 maggio i cittadini svizzeri saranno chiamati a votare sulla nuova legge sul trapianto degli organi. Se su questa tema si può discutere, il merito è di chi ha lanciato il referendum.
Oggi chi intende donare gli organi deve manifestare questa volontà. Con la nuova legge, l’approccio verrebbe capovolto. Si passerebbe dal modello del consenso esplicito a quello del consenso presunto: ovvero, ogni cittadino adulto è per principio (e per imposizione statale) donatore di organi, a meno che palesi la propria opposizione iscrivendosi in un apposito registro. In queste condizioni, non si potrebbe nemmeno più parlare di “donazione”. L’espianto diventerebbe un automatismo; con la possibilità per il singolo di chiamarsi fuori (“opting out”) compiendo dei passi formali. Si assisterebbe così ad una statalizzazione del corpo umano.
Aumentare il numero dei donatori di organi è certamente buona cosa. Non lo è il metodo scelto.
I sostenitori del “consenso presunto” argomentano citando sondaggi dai quali risulta che i donatori potenziali sono più numerosi di quelli che effettivamente si “tesserano” come tali. Il consenso presunto permetterebbe di raggiungere i donatori occulti. A parte che gli esiti di un sondaggio sono una cosa e la reale volontà dei cittadini un’altra, il discorso vale anche in senso inverso. Con il sistema del consenso presunto ci saranno dei cittadini che non espliciteranno in vita la propria opposizione all’espianto. Di conseguenza, a questi cittadini verranno estratti gli organi contro la loro volontà. Questo è inaccettabile.
Il modello “opting out” nei rapporti tra cittadino e Stato viene impiegato con molta circospezione. Non è proponibile servirsene quando c’è di mezzo il più fondamentale dei diritti costituzionali: l’integrità fisica. Ci sono mille motivi per cui qualcuno potrebbe non aver formalizzato nell’apposito registro la propria contrarietà all’espianto degli organi. E’ facile prevedere che a non iscriversi saranno i più deboli. Coloro che forse ignorano questa possibilità. O che non osano servirsene, magari temendo possibili svantaggi o discriminazioni. Il ricatto morale è peraltro evidente. Si denunciano i decessi “per mancanza di organi”, cioè per mancanza di donatori. Si addossa dunque la responsabilità di queste morti a chi non è d’accordo di farsi espiantare gli organi, lasciando ben intendere che si tratterebbe di una scelta moralmente riprovevole e quindi da condannare. Ma le persone muoiono perché sono malate; non perché qualcun altro non ha donato gli organi.
Il consenso “presunto”, lo dice già il termine, è solo “presunto”: potrebbe benissimo non esserci. E presunta è anche la sua efficacia. Non esiste infatti la prova che esso faccia aumentare il numero dei donatori di organi; si tratta di una supposizione.
In Ticino il numero di donatori di organi è superiore alla media nazionale, e non è lontano da quello dei paesi dove già vige il sistema del consenso presunto. Ciò dimostra che è possibile aumentare il numero degli organi a disposizione della medicina dei trapianti anche restando nel regime attuale. Né si può tacere che la Commissione nazionale di etica in materia di medicina umana è contraria al consenso presunto. E lo è anche per questo motivo: ci sono metodi meno lesivi dei diritti fondamentali per raggiungere lo scopo desiderato. Ad esempio incentivi di altro tipo, maggiori sforzi nell’informazione, investire di più nel rapporto tra medici e pazienti.
Il fatto che i congiunti potrebbero comunque ancora opporsi all’espianto degli organi dal potenziale donatore non migliora di molto la situazione. I parenti prossimi si troverebbero esposti ad una ulteriore pressione psicologica - ci si attende un consenso al prelievo - in un momento drammatico. Il “donatore tipo” non è un centenario; è un giovane adulto vittima di un incidente. I genitori sono spesso viventi: oltre ad elaborare il dramma che li ha travolti, sarebbero chiamati a determinarsi sull’espianto. Che, ricordiamolo, non avviene da cadaveri freddi.
E’ giusto ed importante aumentare il numero di donatori di organi. Ma donare, come implica lo stesso termine, deve essere frutto di una scelta consapevole del singolo. Non dell’ennesima imposizione statale.
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