Credo fermamente nella meritocrazia. Sono dell'idea che in qualsiasi campo vada premiato il “più bravo”, quello che, come dice il termine stesso, MERITA di occupare il posto assegnatogli. Di conseguenza, aberrando il concetto stesso di nepotismo, ho la tendenza a guardare di cattivo occhio le frequenti situazioni in cui, in un determinato settore, girano sempre gli stessi cognomi.
La politica non fa eccezione: molto spesso mi capita di intercettare critiche al fatto che i nomi, da una legislatura all'altra, fatichino a cambiare. L'impressione ahimé sempre più diffusa è quella di una sorta di circolo elitario, inaccessibile a chi delle storiche “casate politiche” non faccia parte. O meglio, che chiunque possa accedere alle liste, ma non alla successiva spartizione dei seggi.
Mi sono quindi interrogata sui motivi di tale percezione (ormai pacificamente dato di fatto), anche alla luce della mia esperienza. È la prima volta che mi candido, e lo ammetto: anche io vengo da una famiglia che alla politica si è sempre interessata, sia discutendone tra le mura di casa, sia mettendosi a disposizione della cosa pubblica. Quest'anno, dopo lunghe riflessioni (proprio nel timore delle critiche dovute all'effetto brutta copia/raccomandazione), ho deciso di fare il mio “debutto”.
Cosa spinge una persona a lanciarsi in politica? Amore per la propria città, certo, ma non credo basti: sono necessari anche interesse per le vicende locali, fiducia nelle istituzioni, conoscenza del passato e del presente. In casa mia se ne è sempre parlato, forse anche troppo: ricordo serate passate davanti alla televisione con i miei, dovendo “sorbire” l'ennesimo dibattito su elezioni, referendum e chi più ne ha più ne metta, quando, da bambina che ero, avrei preferito di gran lunga un bel cartone animato. Ricordo pranzi di famiglia abbastanza monotematici: cosa ha fatto quel politico, cosa non va a Lugano, come votare la domenica successiva. Ricordo lezioni di civica casalinghe, grazie alle quali ho imparato il funzionamento del nostro Stato. Ricordo quando accompagnavo mamma e papà al seggio, e trascorrevo il pomeriggio sul piazzale delle Scuole Vecchie di Viganello, aspettando i risultati.
Tutte queste memorie sono legate a emozioni molto positive: l'unità familiare, il tempo trascorso con mio padre, i fervori suscitati nei miei parenti durante quelle discussioni; non posso che associarle alla politica, e venirne attratta, proprio perché sentita vicina alla mia realtà. A parte i primi approcci (e le summenzionate rinunce televisive), proprio grazie al modo in cui se ne parlava, non l'ho mai potuta associare a una cosa noiosa; se così fosse stato, non avrei mai deciso di viverla attivamente.
Quello che differenzia le casate politiche storiche è probabilmente il senso di familiarità trasmesso di generazione in generazione, spontaneamente, che rende la politica quotidiana e accessibile, anzitutto quale argomento di riflessione critica.
Le eccezioni esistono, ovviamente, come in qualsiasi ambito. Sono tuttavia dell'idea che non si debba automaticamente collegare il ciclico riproporsi dei “soliti”cognomi a raccomandazione e nepotismo. Si dice sempre essere un grande aiuto per chi per la prima volta si presenta alle elezioni: non dimentichiamo, però, che dietro a una crocetta c'è sempre una persona libera, e la maggioranza degli elettori non fa parte di queste famiglie: se si predilige un candidato in virtù del cognome, lo si fa con cognizione di causa, perché probabilmente si ritiene che abbia avuto un'educazione politica idonea, e non per mere questioni nominalistiche.
MARTINA CALDELARI, Candidata nr.13, Lista nr.3, Lugano
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