Negli ultimi anni il movimento femminista è sempre più spesso sceso in strada per far sentire la sua voce contro il sessismo, le discriminazioni e la violenza machista in tutte le sue forme. Questa nuova ondata di mobilitazioni sta certamente contribuendo a un importante cambiamento di mentalità in seno alla società. Le violenze sessiste e sessuali, così come le diverse forme di sfruttamento e discriminazione nei confronti delle donne e delle persone LGBT*, sono sempre più al centro dell’attenzione e – grazie a queste lotte – sono già stati compiuti alcuni piccoli, ma importanti, passi avanti.
Eppure questo non basta. Le statistiche svizzere e internazionali ci segnalano che non solo queste violenze non diminuiscono, ma tendono persino ad aumentare. Le cause sono certamente di vario tipo: da un lato vi è senz’altro una maggiore consapevolezza da parte delle donne, che trovano ora il coraggio di rompere il muro di silenzio e denunciare il loro aggressore, dall’altro l’aumento delle forme più gravi di violenza e della loro efferatezza ci induce a pensare che essa sia una forma di estrema reazione maschile proprio nei confronti di questa nostra maggiore volontà di libertà, rispetto ed emancipazione. Man mano che sempre più donne si rifiutano di “stare al loro posto”, man mano che sempre più donne dicono “no”, la risposta maschile verso donne che non sono più così facilmente controllabili tende a farsi sempre più violenta e brutale.
È, inoltre, preoccupante il fatto che sembrano diffondersi sempre più – a vari livelli della società e del mondo politico – idee chiaramente misogine, omofobe e retrograde, con l’obiettivo di ristabilire l’ordine patriarcale.
La violenza come fenomeno strutturale
La violenza contro le donne è un fenomeno strutturale. Le discriminazioni economiche e sociali nei confronti delle donne sono in stretto rapporto con la violenza che ci colpisce e con le nostre reali possibilità di difenderci da queste violenze. La maggior parte delle violenze contro le donne non avvengono in strada, avvengono all’interno della famiglia o nel mondo del lavoro. Ed è evidente il legame tra queste violenze e la condizione femminile in casa e nel mondo del lavoro. Ancora oggi è oggettivamente difficile per molte donne denunciare un collega o un datore di lavoro che ha comportamenti inappropriati, o lasciare un marito o un compagno violento. La difficoltà di raggiungere una vera autonomia economica ostacola la possibilità di autodeterminazione delle donne, la possibilità di sottrarsi a violenze e soprusi. Senza dimenticarci delle difficoltà specifiche delle donne d’origine migrante, confrontate a un inasprimento dell’applicazione della legge sugli stranieri e delle politiche di asilo.
La crisi economica che si fa sempre più sentire colpisce e colpirà in modo particolarmente diretto noi donne! La povertà ha sempre più un volto femminile: madri monoparentali, donne sole, pensionate. Quante di noi portano sulle proprie spalle l’intero peso del lavoro non retribuito? Quante lavorano una vita intera non pagate o mal pagate per poi percepire rendite pensionistiche da miseria?
Servono mezzi e risorse supplementari per lottare contro la violenza maschile sulle donne, non politiche d’austerità e di tagli.
Scendiamo in piazza insieme. Ora più che mai è importante scendere in piazza e lottare contro ogni forma di violenza machista, contro tutte le discriminazioni di genere, contro le politiche di austerità che penalizzano in primo luogo noi donne, per una società in cui ogni donna possa vivere libera dalla violenza, per una società libera da sessismo, omofobia, transfobia e razzismo.