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"Chiasso ha ucciso il grande amore per questo sport"
Redazione
11 anni fa
Andrea Conti, ex portiere passato anche per le nostre squadre ticinesi, racconta la sua esperienza

Andrea Conti (il portiere, per non incappare in casi di omonimia) ha appeso le scarpette al chiodo da una decina di giorni quando, dopo la pausa invernale, era tornato a Chiasso per la preparazione, o meglio, per parlare con la società della sua posizione. Ecco la storia dei suoi anni alla rincorsa del sogno calcistico.

"Era la stagione 2007-2008 quando, tramite una trattativa col Bellinzona, mi hanno girato alla Roma con altri due ragazzi. Sono rimasto un anno ma da giocatore ho fatto solo fino ai primi giorni di ottobre perché poi mi sono infortunato. Avevo avuto un’operazione precedente, poi un giorno in camera mentre allungavo il braccio mi è uscito l’osso della spalla. Ho ripreso ad allenarmi a metà aprile, ho recuperato anche più in fretta del previsto, sperando di avere un’altra chance ma è andata così."

Il ritorno a Bellinzona e il passaggio al Mendrisio-Stabio

Sono tornato a Bellinzona, avevo tanti limiti mentali legati al mio infortunio, dovevo recuperare ed è l’unica squadra che me l’ha permesso. Mi sono allenato ma non mi hanno però mai tesserato, scelte della società. All’epoca c’era Giulini e come direttore sportivo Marco Degennaro. Ricordo che Giulini veniva al campo, faceva grandi discorsi e ci faceva fare un sacco di corsi, di energia mentale, cose molto particolari. Ho partecipato però solo a poche sedute perché non ero molto considerato. A marzo del 2009 sono andato a Mendrisio-Stabio a giocare, mi ha dirottato Degennaro, dove ho fatto una decina di partite.

Capitolo calcioscommesse

C’era un periodo in cui bastava poco per finire nei casini. Avevo letto un articolo per caso che parlava di Andrea Conti (giocatore) che era stato indagato per calcioscommesse e mi ricordo che lui si era difeso dicendo che c’era un altro Andrea Conti (il sottoscritto) che aveva un altro ruolo e che si erano sbagliati. Ma io avevo 19 anni, ero fuori squadra e mi allenavo e basta. Mi sono informato e mi hanno detto che non avrei avuto problemi.

L'anno a Livorno in serie A

Nell’estate 2009 mi sono liberato, in quel momento il mio procuratore era mio padre che, oltre ad essere un imprenditore, aveva il patentino Agente Fifa rilasciato dalla FIGC ed è arrivata un’opportunità. Il Livorno mi ha portato in ritiro, all’epoca era appena salito in serie A. Sono rimasto lì un anno, è stata una stagione importante anche se ho giocato solo un paio di volte con la primavera.

L'esperienza di "volontariato" a Gallarate con Ramella

Nel 2010 sono andato in serie D a Gallarate, dove sapevo che finalmente potevo giocare. Dopo 13-14 partite sono entrato come titolare, siamo arrivati settimi senza stipendi, un bel anno di volontariato. Avevo instaurato un gran bel rapporto con l’allenatore, Ernestino Ramella, e in estate aspettavo una chiamata.

Con Ramella a Como

Ramella mi ha portato poi con lui a Como, che militava in C1, stagione 2011/2012. Sapevo che non sarei partito subito titolare, dovevo lavorare molto ma ero certo che con lui avrei avuto la mia occasione. Il portiere titolare si era infortunato, quindi dovevo giocarmi il posto con un altro. Ho disputato il derby contro il Lecco in Coppa Italia, abbiamo perso all’ultimo minuto 3 a 2 ma ho giocato bene, credevo di aver convinto. Non sono però subentrato al portiere titolare, e a gennaio me ne sono andato.

L'insuccesso di Fano, la delusione di Karel Zeman

Sono approdato al Fano, in C2. Non stavo benissimo, fisicamente ero un po’ giù, a Como ci speravo sinceramente. A Fano speravo di reagire, mi ero preparato. Dopo un mese e mezzo sapevo che volevano vedermi e che ero una scommessa importante. Una volta arrivato il mio turno hanno mandato via l’allenatore. È arrivato il figlio di Zeman, pensavamo fosse un esempio da seguire, personalmente è stato tutt’altro. Il mio procuratore, che all'epoca non era più mio padre, parlò con la società e a giugno 2012 me ne sono andato.

E poi giù nel profondo Sud a Milazzo

Ho interrotto il rapporto con il mio procuratore e mio padre è tornato a seguirmi. A fine luglio, l'unica possibilità per rimanere tra i professionisti, era di andare a Milazzo in C2, in Sicilia, e ho accettato. Abbiamo cominciato il ritiro ad agosto, in Umbria, a Norcia. Eravamo in pochissimi, 10-12 poi sarebbero arrivati gli altri. L'anno è cominciato in modo molto positivo, eravamo tutti molto giovani e avendo instaurato un buon rapporto con l’allenatore sono diventato subito uno dei punti di riferimento. C’erano però grandissimi problemi economici, abbiamo fatto una trasferta con 18 ore di pullman perché eravamo l’unica squadra del sud inserita nel girone del nord. Siamo partiti un giorno e mezzo prima, abbiamo fatto la prima tappa a Pisa dove alloggiavo quando ero a Livorno e siamo arrivati a Casale la sera prima, per tutti eravamo spacciati in partenza con tutte le ore di bus nelle gambe. Ma per tutta la squadra è stato davvero bello perchè siamo riusciti a strappare uno 0-0 preziosissimo. Sono rimasto a Milazzo fino a fine ottobre, ero titolare ma mi sono fatto male dopo la terza partita, strappo muscolare all’altra spalla: riposo e un mese di riabilitazione. Sono tornato e la squadra era fallita ed è stata venduta a Lo Monaco che ha messo i suoi uomini e ha fatto piazza pulita con noi, compreso me. 

Il pentimento di Fano

Mi sono allenato anche grazie ad Andrea Mazzantini, mio amico ed ex portiere di serie A. Mi sono sempre tenuto in forma anche in quel mese e mezzo. Poi a gennaio 2013 è arrivata di nuovo la chiamata del Fano, c’era aria di pentimento, ho accettato con la promessa che almeno mi avrebbero dato una chance di mettermi in mostra. Sono passate 2-3 partite ed ero ancora parcheggiato in panchina, l’allenatore, secondo me, mi aveva preso in antipatia. Sono andato via prima della fine della stagione, ad aprile, e loro sono retrocessi.

L'ultimo anno, il ritiro con la ProPatria

Ho fatto tutta l’estate a Miami, mi sono allenato e poi ho deciso di darmi un’ultima chance, e sono andato in ritiro con la ProPatria, ero in forma. Il primo portiere era di Catania, l’altro era uno che aveva già giocato in C, io ero la scommessa. Quando stava finendo il mercato a fine agosto la dirigenza ha fatto una scelta e io non ho accettato di rimanere come terzo poritere.

L'arrivo e la fine a Chiasso

Il mio procuratore ha parlato con il Chiasso che cercava un altro portiere pronto perché, a quanto pare, sarebbe potuto succedere di tutto. A Chiasso ho ritrovato Degennaro, all’inizio non volevo andare perché sapevo come c’eravamo lasciati ma Ramella mi aveva richiesto. Sono arrivato con il miglior spirito possibile, ma il giorno dopo il mio arrivo hanno lasciato a casa Ramella. Sono comunque rimasto ed è arrivato Komornicki che non parlava italiano e non sapevo cosa voleva dirmi né come pormi perché c’era qualcuno che traduceva, ma non è la stessa cosa. Mi sono sempre dato da fare facendo gli allenamenti con impegno ma sono passati i mesi ed ero sempre parcheggiato come se non esistessi. Avevo fatto un’amichevole con il Milan, quella col Como e poi quella con l’Inter. Senza essere avvisato personalmente, ho scoperto di essere fuori per una questione di numero di stranieri. Dopo l'esonero di Komornicki è arrivato Zambrotta, un campione del mondo, un grande professionista e un grande esempio. Ho creato un bel rapporto con lui. Sapevo che non sarei stato convocato le ultime due partite prima della pausa, poi speravo che le cose si sarebbero mosse durante la pausa invernale. Al mio ritorno il mio procuratore mi ha detto di tornare a Chiasso ma senza garanzie. Ero deluso perché sapevo che avevo dato tutto ed ero sicuro di essermi guadagnato la mia chance. Ho capito che non sarebbe cambiato niente, non ce la facevo più quindi ho deciso che al mio rientro avrei parlato con Zambrotta, Croci-Torti e Malatesta (allenatore dei portieri). Zambrotta ha espresso le sue idee e ho capito che non ci sarebbe stato nulla da fare. Mi spiace davvero perché, in un momento in cui sapevo di poter dare una mano, la società non ha minimamente pensato che potessi farlo.

Quindi con grande dolore ho appeso le scarpette al chiodo, così posso dedicarmi a qualche ambito diverso dove sicuramente avrò più rispetto, avrò più meriti e magari anche guadagni migliori. Le mie prospettive erano diverse ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe.

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