Si è svolta al cinema Lux di Massagno una serata dedicata agli arbitri di calcio donna. A parlare del movimento femminile nell’arbitraggio c’erano ospiti d’eccezione come l’arbitro svizzera Esther Staubli, la francese Stéphanie Frappart e l’italiana Maria Sole Ferrieri-Caputi. Le tre professioniste si sono raccontate tra vita privata e quella lavorativa.
Il calcio come passione
Per diventare arbitro una particolarità comune è la passione del calcio, spiega Esther Stäubli: “Il mio primo contatto con il mondo del calcio è stato da giocatrice. Ho iniziato la mia carriera come attaccante, poi sono diventata difensore. Io amo il calcio, è la mia passione, e ho cercato un modo per rimanere in questo mondo. È così che mi sono iscritta al corso di arbitraggio”.
Un mix di fisico e mentale
Il fattore fisico è un aspetto decisivo per una carriera nel mondo dell’arbitraggio, ma è importante mantenere un "self control" mentale per raggiungere alti livelli: “Prima di una partita non bisogna solo svolgere una preparazione fisica. C’è anche tutta una parte tattica da conoscere. Il mentale conta. Bisogna conoscere il modo di giocare delle due squadre per provare ad anticipare le giocate e posizionarsi meglio sul campo”, dichiara Stäubli. La differenza con i giocatori e le giocatrici di calcio sul piano sportivo è poca: “Io guardo tantissimi video di tattica e di come giocano le squadre che vado ad arbitrare”, sostiene invece Stéphanie Frappart. “Siamo come i giocatori e le giocatrici; anche noi ci alleniamo per prendere delle decisioni. Lavoriamo anche sulla postura per essere più chiari e avere un management più sobrio durante la partita”. “I carichi di lavoro cambiano in funzione del giorno”, aggiunge Ferrieri Caputi. “Studio le squadre attraverso una nostra piattaforma”.
Comunicazione anche gestuale
La capacità di un arbitro non deve essere solo la comunicazione attraverso le parole, ma anche quella gestuale: “In Corsica, per esempio, non è sempre evidente arbitrare perché la loro cultura è un po’ diversa. È lì che viene fuori l’aspetto umano del nostro lavoro: un sorriso, un’attitudine, un gesto, possono cambiare molte cose. Certe situazioni bisogna gestirle in quel modo”, dichiara Frappart. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Esther Stäubli: “Sono molto espressiva sul campo, molto umana. Secondo me è importante far vedere ai giocatori e alle giocatrici che proviamo anche noi emozioni. Ma se gli animi sono tesi, il nostro ruolo è quello di calmare la situazione. Non siamo delle macchine, non siamo dei robot. Non possiamo essere sempre calmi e pacati. A volte un po’ di emozione ci vuole”. Per Maria Sole Ferriero Caputi ci vuole un pugno duro per gestire alcune situazioni: “Quando si alzano i toni, l’arbitro deve essere il punto fermo e deve riportare la calma. In determinate occasioni occorre arrivare sul punto subito. Bisogna prevenire gli eventuali scontri verbali o fisici”.
La "donna arbitro"
Il movimento calcistico femminile è in forte crescita e parallelamente lo è anche quello arbitrale. Per Stéphanie Frappart il mondiale in Qatar è stato rilevante: “Abbiamo una grande responsabilità perché sappiamo che se prendiamo le decisioni giuste, questo potrà permettere ad altre ragazze di avere opportunità importanti. Quando siamo in campo non rappresentiamo solo noi stesse, ma anche l’immagine dell’“arbitro donna”. E in Qatar non si parlava più di calcio ma di “donna arbitro”.
L'esperienza come strumento
Come in ogni lavoro, l’esperienza è parte integrante della capacità di svolgere al meglio la propria professione. Per quanto riguarda l’arbitraggio, l’esperienza è utile a leggere meglio le situazioni. Ancora Esther Stäubli: “L’esperienza aiuta a gestire meglio le situazioni, soprattutto quando le hai già vissute. È come usare una scatola degli attrezzi. Quando inizi ad arbitrare, è come se sapessi usare solo un martello e più passano gli anni, più sai scegliere l’attrezzo giusto”. Il ruolo dell’arbitro, però, deve ancora -nell’imaginario collettivo- svestirsi di quella fama di disonestà. E così lo è anche nel mondo femminile, dice Frappart: “A volte è difficile spiegare alla gente che essere arbitro è un piacere perché ha un po’ un’immagine di ruolo disonesto. Il calcio è un mondo di squali. Siamo sempre sotto accusa. A fine partita, l’arbitro non vince mai perché ci sono sempre degli errorini. Ed è dopo aver vissuto questi momenti difficili che abbiamo bisogno delle famiglie per permetterci di staccare e motivarci per tornare al top. La differenza tra un buon arbitro e un ottimo arbitro si vede da come reagisce dopo un momento di difficoltà”.
Arbitro o arbitra? Un lavoro soggetto alla discriminazione di genere
La discriminazione di genere, presente in ogni ambito lavorativo, tocca anche il movimento arbitrale femminile. Le tre ospiti hanno raccontato le loro esperienze: “Se mi sento giudicata perché sono una donna? Beh, io guardo unicamente le prestazioni, non mi interessa se l’arbitro è un uomo o una donna”, dice Stäubli. “Conta solo la prestazione. Il più bel complimento che ho ricevuto era durante una partita di Challenge League. I miei colleghi mi hanno detto che dietro di loro c’erano due uomini anziani in tribuna e si sono accorti solo dopo mezz’ora che ero una donna. Questo per me è il complimento più bello perché loro in campo hanno visto l’arbitro, non la donna”. Stéphanie Frappart, invece solleva la questione fisica differente tra uomo e donna: “Io ho vissuto la mia prima partita di Ligue 1, in Francia, in un clima molto teso. Per una settimana, i media parlavano solo di me, si chiedevano se fossi in grado di potercela fare fisicamente. Tutti si interrogavano sulle mie qualità tecniche e se il mio fisico mi permetteva di correre alla stessa velocità dei giocatori. Tutti volevano vedere cosa sarebbe successo. Per me e il mio team, non è stato facile gestire il pre e il dopo, ma sul campo sapevamo di potercela fare senza problemi”. Sul tema ha dato il suo parere anche l’italiana Ferrieri Caputi, mettendo l’accento anche sulla questione linguistica: si dice arbitro o arbitra? "A me va bene tutto. Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre un po’ di pancia, senza dimenticare il mio trascorso. Nei miei 16 anni precedenti era andare in contesti diversi come i campi di prima e seconda categoria. Quando uscivano articoli sui giornali o siti delle società il termine arbitra si utilizzava nel caso in cui io avessi fatto degli errori. Se la connotazione di genere al femminile può essere una cosa positiva, io non ho nessun problema. Se devo esprimere una preferenza, per me è più naturale il termine arbitro”, conclude l’italiana.
Un arbitro donna nel calcio maschile
Un altro aspetto toccato durante la conferenza è come un arbitro donna possa sostenere le reazioni da parte dei giocatori di sesso maschile. Frappart ne sottolinea le differenze: “È più facile arbitrare gli uomini o le donne? Sempre la solita domanda. Sono due cose diverse. L’approccio, le tattiche, il management sono diversi, ma rimane una partita di calcio. Per me è la stessa cosa. L’unica vera differenza sta nella parte tattica del gioco. Le ragazze vanno più velocemente avanti, il pallone esce meno dal campo. Gli uomini invece prendono più tempo per avanzare, ma il gioco è più veloce. A livello di management invece, secondo me c’è una distanza tra l’uomo e la donna. Quindi, se sbaglio, il giocatore contesterà e si lamenterà, ma le parole, l’aggressività e l’attitudine saranno più pacate. È chiaro che non abbiamo tutti le stesse caratteristiche. Io non misuro 1m90! Posso fare uno sguardo duro una volta, due volte, ma non funzionerà ogni volta. Bisogna farsi rispettare diversamente, usando la comunicazione. Per le ragazze, la storia è un po’ diversa. Loro hanno voglia di giocare e barano un po’ di meno anche se, con lo sviluppo del calcio femminile, anche questo sta arrivando”, conclude l’arbitro francese Stephanie Frappart.