Hockey
Philppe Maillet, il québécois che non si arrende mai
©Chiara Zocchetti
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Redazione
15 ore fa
L'attaccante dell'Ambrì-Piotta ha dovuto superare un periodo d'ambientamento in Leventina e poi, grazie alla fiducia di Cereda, è diventata una pedina importante nell'organico biancoblù.

Philippe Maillet. 32 anni. Nato in Québec, Canada. L'attaccante dell'Ambrì-Piotta, in linea con DiDomenico e Kubalik ha preso fiducia imponendosi nella formazione biancoblù. Una vita dedicata all'hockey a partire dal cortile di casa fino all'obiettivo della NHL. Ora, Maillet, ha colto la fiducia di Luca Cereda dando ancora verve alla sua carriera. 

Sin da piccolo con i pattini ai piedi

"Ho studiato 4 anni all’università del New Brunswick dove ho studiato economia. Sono cresciuto a Lachenaie, a 30 minuti a nord di Montréal. Là ho vissuto una bellissima infanzia. Montréal è una città bilingue, ma Lachenaie è un posto unicamente francofono. Lì ho avuto modo di svolgere tutto il mio percorso delle giovanili. Non è una grandissima città, ma abbiamo sempre avuto ottime squadre di hockey. Ho iniziato a pattinare all’età di due anni. Non avevamo vicini di casa quindi in inverno mio padre prendeva un getto d’acqua e mi creava la mia pista di hockey. Dunque, sarebbe stato difficile non innamorarmi di questo gioco. Ho imparato a giocare con lui, mi ha allenato fino ai miei 10 anni. È così che ho iniziato a giocare a hockey".

Le giovanili in Canada

"Nelle giovanili, in Québec, avevo ottime statistiche. Ma non sono stato draftato, nel mio anno c’erano ottimi giocatori. È stato indubbiamente una delusione e per me fu anche difficile da comprendere. Soprattutto quando paragonavo le mie statistiche a quelle di chi invece è stato scelto. Prima del draft avevo parlato con la squadra di Nashville. Guardavo il draft in TV e al 7° turno Nashville ha chiamato un giocatore della LHJMQ. Per mezzo secondo ci ho creduto, ma scelsero qualcun altro. È stato un colpo al cuore, il destino mi ha riservato altro. Io non ho mai mollato, ho fatto in modo di essere uno dei migliori giocatori delle squadre in cui giocati. Così sono diventato quello che sono ora".

Il sogno NHL

"Le mie due partite in NHL rappresentano un po’ la mia carriera. Non c’è mai stato niente di scontato. Sembrava evidente giocare con Washington a mezzogiorno con la pista vuota. C’era il Covid, la mia famiglia non era presente. Adesso mi fa sorridere, ma non è stato facile. Avevo 28 anni e non ero gasato, ma più che altro sollevato di poter giocare in NHL. È triste dirlo, ma ho pensato: “Finalmente mi sono scrollato questo peso di dosso”. Non avrei voluto lottare per tutte la carriera senza mai giocare una partita in NHL. Ho giocato due partite di NHL con Washington, non me le può togliere nessuno. È stato un percorso difficile".

Il ritorno a casa

"Dopo due anni in Russia ho voluto riprovare in NHL con Montréal. Volevo solo tornare in Nordamerica. A luglio i Canadiens di Montréal mi hanno fatto un’offerta ed era la migliore che avevo. Non volevo vivere con dei rimpianti, lo dovevo accettare. Giocare ‘a casa’ e tornare a vivere in Québec è stato bello. Ancora una volta, però, non mi è andata bene. Ho avuto comunque una bella carriera, mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno".

L'approdo all'Ambrì-Piotta

"È nato poi mio figlio e la Svizzera era un’ottima opzione per la mia famiglia. Ho parlato con Duca e Cereda e abbiamo pensato che Ambrì fosse il posto giusto. L’inizio è stato complicato, ma adesso stanno ottenendo ciò che si aspettavano. Ambrì è un posto caloroso, è bello avere una pista tra le montagne. L’ambiente è particolare, il tifo è focoso. Giocare per l’Ambrì è un piacere. Siamo una squadra bene assortita: ci sono diversi giovani e tanti giocatori d’esperienza. Io sono molto tranquillo, ma quando sento che gioco bene, mi diverto sul ghiaccio, provo diverse soluzioni. Non sono uno che parla molto nello spogliatoio, ma mi piace far parte dei diversi gruppi. Ora sto bene qui. Con DiDomenico e Kubalik abbiamo un buon rapporto anche fuori dal ghiaccio. Ci completiamo a vicenda, sfruttiamo i nostri punti di forza. Kubalik è uno sniper, DiDomenico è forte con il disco sul bastone. A me piace supportarli e stare al centro tra i due, provo a dare il meglio anche in fase di uscita. Penso che sia davvero una buona linea".

L'aiuto di Luca Cereda

"Luca Cereda è un allenatore espressivo che vive di emozioni. Ad inizio anno, quando non stavo rendendo, non mi ha abbandonato. Ho apprezzato molto. Ha fatto di tutto per sbloccarmi, mi ha dato una mano nei momenti di difficoltà. Quando ha capito che stavo ritrovando il mio livello, mi ha dato tanto fiducia. Adesso penso che la stia ricambiando con le mie prestazioni. Non era scontato da parte sua e l’ho apprezzato. No, non ho mai temuto di essere mandato via, ma se capita, capita. Se giochi con la paura di essere lasciato a casa, ci sono buone possibilità che ti succeda. Pensavo al mio gioco, ci provavo. Poi ci siamo incontrati a novembre. Ero abituato a stagione da 70 partite, qua ci si allena di più. Mi è stato chiesto ci impegnarmi di più in allenamento. L’ho fatto e ha pagato".

E il futuro?

"Sono in scadenza di contratto, sto valutando le mie opzioni. Mi concentro sull’Ambrì, so che meglio gioco e migliori saranno le opportunità. Non so se la NHL è ancora obiettivo, non si sa mai. La mia carriera mi ha insegnato di non guardare il passato o il futuro. Non dirò mai di no alla NHL, ma per ora penso a ciò che posso controllare. Qui non ho ancora vissuto i playoff, ma sento che l’intensità sta aumentando. L’Ambrì ha sempre fatto bene contro le forti, quindi perché non creare una sorpresa se entriamo nei playoff?!"

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