Quindici persone residenti nei pressi della centrale nucleare di Leibstatdt (AG), sia in Argovia che nella limitrofa Germania, la settimana scorsa hanno inoltrato un ricorso al Tribunale amministrativo federale (TAF) contro il gestore dell'impianto e il Dipartimento federale dell'ambiente e dell'energia (DATEC) che, a loro avviso, non hanno rispettato Convenzioni internazionali secondo cui, in caso di sfruttamento a lungo termine di reattori nucleari, va realizzato un esame dell'impatto sull'ambiente (EIA).
40 anni di servizio
Dopo 40 anni di servizio, il 15 dicembre la centrale argoviese, che sorge sulla sponda sinistra del Reno tra Leibstadt e Dogern (Germania), è entrata nella fase di esercizio a lungo termine, ha ricordato oggi in una conferenza stampa a Zurigo Stephanie Eger, della Schweizerische Energie-Stiftung (SES, fondazione svizzera per l'energia, ente che, stando al suo sito, si batte per la promozione di vettori rinnovabili). La SES, assieme a Greepeace Svizzera e all'associazione trinazionale di protezione nucleare (TRAS/ATPN, con denominazione ufficiale in tedesco, Trinationaler Atomschutzverband, e francese, Association Trinationale de Protection Nucléaire), sostiene i 15 vicini nel loro procedimento giudiziario. Nel febbraio dello scorso anno, gli abitanti della zona si sono rivolti al DATEC. Secondo il diritto internazionale, prima di poter dare avvio allo sfruttamento a lungo termine, i gestori dell'impianto devono effettuare un EIA transfrontaliero, garantendo la partecipazione della popolazione interessata, ha affermato Eger. Ciò è previsto dalle Convenzioni di Espoo e di Aarhus, firmate dalla Svizzera.
Reclamo per ritardo giuridico
Non avendo ricevuto alcuna risposta ufficiale o esame d'impatto degno di questo nome, all'inizio di dicembre i vicini hanno presentato un reclamo per ritardo giuridico. A metà mese, il DATEC ha preso posizione sulla richiesta di febbraio, sostenendo che un EIA non era necessario. Con il ricorso al TAF, gli abitanti della zona si oppongono a questa decisione del Dipartimento. Per una sentenza occorreranno anni, stima la responsabile del settore energia atomica presso la SES. I quindici cittadini - undici domiciliati in Svizzera e quattro in Germania - non tollerano che non si proceda a un esame "onesto, trasparente e pubblico" al fine di evidenziare i rischi per la natura e le persone di un prolungamento dello sfruttamento della centrale, ha detto una di loro, la 46enne Katleen De Beukeleer, domiciliata a Baden (AG), a una quarantina di chilometri dall'impianto. "Ci dicono che la centrale nucleare è sicura. Ma allora perché riceviamo pastiglie di iodio da prendere in caso d'incidente?", ha chiesto. "Come spiegare queste contraddizioni a mia figlia sedicenne? I pericoli vanno ben al di là dei confini nazionali", fino in Francia e a Rotterdam (Paesi Bassi), dove il Reno sfocia nel Mare del Nord, ha detto Hans Eugen Tritschler, che abita dieci chilometri a valle di Leibstadt, sulla sponda tedesca del fiume. Le convenzioni internazionali sono state sottoscritte perché i rischi per l'uomo e la natura sono indiscutibili. La Svizzera deve rispettarle, anche se un EIA "richiedesse un certo investimento e i risultati non combaciassero con gli auspici dei gestori".
Effetti transfrontalieri
Anche Rudolf Rechsteiner, vicepresidente di TRAS/ATPN, ha sottolineato gli effetti transfrontalieri. E ha criticato il DATEC per aver cercato di soffocare la discussione. Il prolungamento dell'esercizio è associato a grandi rischi, che però vengono sistematicamente negati, ha sostenuto. "Che accadrebbe, anche a mille chilometri di distanza, nei Paesi Bassi, se in seguito a un incidente il reattore di Leibstadt dovesse essere raffreddato per anni con acqua, come accaduto a Fukushima?". In Giappone l'acqua radioattiva viene versata nell'Oceano Pacifico, "che ne sarebbe del Reno?", ha chiesto Florian Kasser, di Greenpeace.