È “sfaccettato” il quadro dello stato dell’italiano in Svizzera. L’aggettivo è stato utilizzato da un consorzio di ricercatori nel corposo rapporto sullo stato di salute della terza lingua ufficiale della Confederazione, presentato ieri a Berna.
L’idea di un bilancio in chiaroscuro è condivisa anche dal consigliere nazionale dell’Alleanza del Centro, Marco Romano, che è pure relatore del rapporto e co-presidente dell’Intergruppo parlamentare “Italianità”. “L’italiano è in difficoltà, ma a essere in difficoltà è pure il plurilinguismo svizzero nella sua essenza”.
“Inglese come passe-partout”
Per il deputato ticinese, “vivere il plurilinguismo in Svizzera significa viverlo nella quotidianità: a scuola, nell’amministrazione, nella cultura”. Secondo Romano, è responsabilità delle istituzioni difendere il plurilinguismo e riuscire a presentarlo come un valore, promuovendo l’utilizzo delle differenti lingue nazionali. “Purtroppo, assistiamo allo sviluppo di tre Paesi all’interno di uno solo: ci si “abbassa” volontariamente all’utilizzo esclusivo della propria lingua regionale e si vede nell’inglese un passe-partout per la comunicazione con le altre regioni linguistiche”. Una tendenza che Romano condanna categoricamente: “Questa non è l’essenza svizzera e non è così che la Svizzera è diventata un Paese apprezzato e ricercato in tutto il mondo”.
Funzionari poco competenti
Se le conoscenze dell’italiano all’interno della popolazione d’Oltralpe potrebbero senza dubbio migliorare, anche l’Amministrazione federale potrebbe fare di più. D’altronde, le lacune di italiano dei dipendenti federali erano state segnalate in più di un rapporto ufficiale stilato dalla Confederazione. È possibile che l’insediamento di un consigliere federale ticinese abbia contribuito a migliorare le cose? Romano è scettico: “Oggi ci sono delle soglie minime legali molto chiare sulla rappresentanza delle lingue nazionali all’interno dell’Amministrazione federale. Il quadro complessivo non è però ancora soddisfacente”. In effetti, secondo Marco Romano, i dati sulla quota di francofoni, italofoni e romanciofoni al servizio della Confederazione “sono dopati: per esempio, il solo numero di guardie di confine ticinesi e grigione-italiane fa schizzare verso l’alto la quota di italofoni all’interno del Dipartimento federale delle finanze. Lo stesso si può dire dei Servizi linguistici della Cancelleria, dove per forza di cose il numero di italofoni è alto. Se quindi, anche grazie a questi uffici, non siamo distanti dai valori di riferimento prefissati, in parecchi Dipartimenti il numero di italofoni è basso. Restano inoltre insoddisfacenti anche le competenze linguistiche di parecchi quadri”.
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