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Mercoledì pomeriggio la consigliera federale Viola Amherd si è presentata davanti alla stampa per presentare il messaggio sull'esercito 2025. Ma l’attenzione era tutta focalizzata sulle dimissioni a sorpresa del capo dell'esercito Thomas Süssli e del capo dei servizi segreti Christian Dussey. Dimissioni che sono state annunciate dai media ancora prima dei canali ufficiali. "Sia Süssli, sia Dussey non hanno avuto la possibilità di informare personalmente i loro collaboratori più stretti della loro partenza, che hanno appreso dai media che i loro capi si stavano dimettendo", ha sottolineato la consigliera federale. È anche per questo che il Dipartimento federale della difesa (DDPS) ha sporto denuncia contro ignoti. Rispondendo a un giornalista, la consigliera federale vallesana ha anche rispedito al mittente le accuse secondo cui, viste le partenze, lascerà al suo successore un Dipartimento in grande difficoltà. “Non se ne vanno oggi. È un processo ordinario”, ha replicato Amherd. “Thomas Süssli resta fino alla fine di quest’anno, Christian Dussey fino a fine marzo 2026. Credo che per il mio successore è una situazione eccellente così potrà scegliere lui stesso le persone che ricopriranno questi importanti ruoli”. Per analizzare quanto successo in questi ultimi giorni abbiamo interpellato Peter Regli, ex capo del servizio di informazione svizzero.
Come leggere questa situazione, soprattutto in un momento che a livello mondiale è piuttosto teso?
“La consigliera federale ha parlato molto chiaro per quanto riguarda le indiscrezioni a livello federale. Per quanto riguarda le due personalità, si tratta di un cambio della guardia come in tutte le grandi organizzazioni. Süssli ha chiesto di poter dimissionare alla fine di quest'anno, il capo del servizio d’informazione per marzo 2026. Il primo lascia dopo 6 anni, il secondo dopo quattro anni. Sono due funzioni dove non si comincia alla mattina alle 8 e fino al pomeriggio alle 15.00, per poi andare in piscina. Sono due funzioni che chiedono molto al rispettivo capo, sono molto intense e molto sottoposte alle critiche, sia dal Parlamento che dai giornalisti”.
Sarà difficile trovare sostituti per queste due posizioni?
“È molto difficile. Un capo dell'esercizio non lo si trova a Berna sul Bundesplatz, men che meno il capo dei servizi d’informazione. Per quanto riguarda l'esercito abbiamo degli ufficiali alto graduati e divisionari molto ben formati pronti a prendere l'incarico. È molto più difficile per il capo del servizio di intelligence perché ci vuole una formazione speciale: bisogna saper le lingue, bisogna prendere la situazione internazionale sul serio e soprattutto avere piena fiducia sia dal rispettivo consigliere federale sia dai colleghi direttori dei servizi esteri partner, dai quali noi dipendiamo molto”.
In questi giorni ci sono stati anche gli audit sulla Ruag. Non è un momento facile per tutto l'ambito della sicurezza elvetica. C'è qualcosa che non va o è una semplice concatenazione di eventi?
“Con la guerra in Europa il Dipartimento della difesa è il più importante e il più difficile in base al cambiamento della situazione. La cyberguerra ha influsso su tutti i Dipartimenti. Della Ruag non parlo, mi preoccupa di più il problema personale. Il 12 marzo si tratta di ricevere un nuovo capo del Ddps che abbia la fiducia dei suoi subordinati. Un capo del Ddps che dica finalmente al Consiglio federale di prendere la situazione mondiale ed europea molto sul serio. La Russia non attacca fisicamente solo l'Ucraina, ma anche l'Europa e le democrazie con la guerra ibrida. Si tratta di fare un passo in avanti”.
Il 12 marzo è un'occasione di ripartire da un foglio bianco?
“Sì, lo ha detto anche la capa del Dipartimento. E per questo che Süssli e Dussey hanno chiesto di essere licenziati in gennaio e non dopo la scelta del nuovo capo del Dipartimento”.