Politica internazionale
Ex-diplomatico: "non si creda troppo alla nostra stessa propaganda"
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Ats
4 ore fa
Jean-Daniel Ruch in un'intervista concessa ai domenicali parla dell'importanza della narrazione in occasione dei conflitti, della strategia di Trump, delle intenzioni di Putin e dell'importanza della neutralità.

Occhio a non credere troppo nemmeno alla nostra propaganda: l'avvertimento - relativo alla guerra in Ucraina - arriva da Jean-Daniel Ruch, ex diplomatico di punta della Confederazione, che nel nuovo approccio degli Stati Uniti verso la Russia vede una chiara strategia e che invita la Svizzera a non abbandonare in nessun caso la sua neutralità. "Oggi non sono più l'unico a dirlo: quando le colonne corazzate russe sono rimaste bloccate fuori Kiev poco dopo l'inizio della guerra c'era una finestra di opportunità in cui entrambe le parti stavano negoziando e la guerra avrebbe potuto essere evitata", afferma il 62enne in un'intervista pubblicata oggi dalla SonntagsZeitung (SoZ). "Prima o poi gli storici se ne occuperanno e faranno chiarezza".

L'importanza della narrazione

"Un elemento importante di ogni guerra è la narrazione", prosegue l'esperto che era stato designato segretario di stato della politica di sicurezza in seno al Dipartimento federale della difesa (DDPS), ma si era dimesso ancora prima di entrare in funzione, adducendo motivi personali, con i media che avevano parlato di frequentazioni a rischio e critiche per il suo stile di vita. "Solo se è molto chiaro che si sta combattendo per il bene si può giustificare un conflitto con così tanti morti. Non si adatta alla narrativa occidentale dire: l'Occidente è in parte responsabile del fatto che questa guerra, che ha causato centinaia di migliaia di morti, non è stata fermata in una fase iniziale". 
"Bisogna capirsi bene", puntualizza l'ex ambasciatore in Israele, Turchia e Serbia. "Anche per me è assolutamente chiaro che l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è contraria al diritto internazionale e non può essere legittimata da nulla. Ma questo non significa che non si possa criticare l'Occidente. Quello che vorrei dire è questo: ovviamente dobbiamo stare molto attenti a non cadere nella propaganda russa, ma non dovremmo nemmeno credere ciecamente alla nostra propaganda. Tra l'altro, nel conflitto tra Israele e Palestina, la battaglia per la narrazione è ancora più accesa, da entrambe le parti".

La strategia di Trump

"Sono convinto che sia nell'interesse di tutti che questa guerra finisca", chiosa il padre di due figli. "Naturalmente si può discutere sui metodi del presidente americano Donald Trump, ma credo che sotto Joe Biden o Kamala Harris avremmo continuato a combattere per molto tempo", aggiunge. "Lo stile di Trump non è piacevole, come ha imparato anche Volodymyr Zelenski nello Studio Ovale. I critici di Trump commettono però sempre lo stesso errore: non riescono a distinguere tra le sue dichiarazioni, spesso completamente esagerate e assurde, e le sue azioni. Spesso annuncia qualcosa e poi non la porta a termine. Ma ciò che è molto coerente è che rompe con tutte le convenzioni; il suo approccio è la rottura. Nella guerra in Ucraina, la rottura strategica più importante è stata quella di negoziare direttamente con i russi senza coinvolgere gli ucraini e gli europei. È stata un'inversione di 180 gradi rispetto alla strategia dell'amministrazione Biden".
"A prima vista, l'approccio di Trump sembra caotico, ma in realtà sta seguendo una strategia chiara", prosegue lo specialista in relazioni internazionali di origini giurassiane. "I colloqui con Putin non riguardano solo l'Ucraina. Per Trump esistono tre potenze geopoliticamente decisive: Cina, Russia e Stati Uniti. In qualche modo vuole gestire questo triangolo. Come, esattamente, resta da vedere. Vuole creare una sorta di consiglio di sicurezza delle superpotenze senza gli europei? Oppure, come Nixon e Kissinger, cercare di mettere la Russia contro la Cina? Questo non è ancora chiaro. Finora è chiaro solo che Trump sta cercando di costruire buone relazioni con la Russia". "Il comportamento di Trump può certamente essere interpretato come un cambiamento di schieramento. Io però la vedo diversamente: Trump ha una visione per un nuovo ordine mondiale che - con mio rammarico - si basa sull'equilibrio di potere e non sul diritto internazionale. I colloqui non sono finalizzati a compiacere i russi o i cinesi, ma si inseriscono in un'agenda globale".

"Non credo i russi intendano attaccare l'Europa"

Il timore degli europei che i russi attacchino altri paesi in caso di concessione in Ucraina - chiedono i giornalisti - è giustificato? "Sono scettico al riguardo", risponde l'intervistato. "I russi hanno già abbastanza problemi. Non ho mai sentito Putin dire che intende spingersi più a ovest. Credo che tali dichiarazioni siano in parte propaganda da parte nostra. Ma se lo scopo di questa propaganda è ottenere più fondi per la difesa e il riarmo dell'Europa, sono persino d'accordo. Perché l'Europa deve cercare di diventare il più indipendente possibile". In questo contesto la Svizzera deve rimanere fuori dai giochi. "Per me la neutralità elvetica è sinonimo di indipendenza. Certo, viviamo in un mondo di interdipendenza. Ma la Confederazione ha svolto un ruolo molto indipendente sulla scena mondiale in passato e sono convinto che potrà continuare a farlo in futuro. Dopo tutto, il soft power del nostro paese è ancora unico: possiamo essere molto piccoli, ma abbiamo un'enorme influenza sul mondo grazie alla nostra forte economia, alla ricerca, al sistema educativo esemplare e alla forza innovativa. Possiamo sfruttare al meglio queste risorse se rimaniamo politicamente indipendenti e neutrali".
Concretamente questo significa mantenere buoni contatti con tutte le parti. "Se dobbiamo accettare delle sanzioni perché i nostri partner economici più importanti ci fanno pressione, possiamo spiegare che lo facciamo solo per evitare che le sanzioni possano essere aggirate attraverso la Svizzera. Anche i russi lo capiscono. Se andiamo oltre, non saremo più percepiti come neutrali". Così facendo però - ribattono i cronisti di SoZ - ci si espone all'accusa di opportunismo. "In Svizzera pensiamo sempre di dover essere alunni modello. Una mia amica, di origine russa, vive nella Confederazione con i suoi figli da 20 anni e ha anche un passaporto elvetico. Quando di recente ha fondato una società, le è stato impossibile aprire un conto bancario a Ginevra. Questo invece non è un problema negli Stati Uniti, dove le sanzioni sono molto più morbide. Non dobbiamo essere più papisti del Papa, soprattutto perché le sanzioni spesso non hanno l'effetto desiderato, come si può vedere in Russia", conclude l'ex diplomatico.