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Single è bello? Per qualcuno restare soli è un vero terrore
Foto Tatiana Scolari
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Redazione
un giorno fa
L'anuptafobia può avere conseguenze importanti per chi ne soffre. "Si cura con terapia, consapevolezza e capendo che la felicità non dipende solo da un partner".

Restare single e non trovare l’anima gemella o quanto meno una persona con cui condividere la quotidianità può diventare una paura con un effetto talmente invasivo da condizionare l’intera vita? Sì e si tratta anche di un fenomeno con un nome preciso: anuptafobia, ovvero la paura della solitudine affettiva.

Che cosa è l'anuptafobia

Quando essa assume una rilevanza importante nella propria vita, condizionando anche altri aspetti, come quelli amicali e familiari, lavorativi o degli hobby, può essere necessario ricorrere a una terapia, per comprendere da dove nascono le emozioni. Si parla, appunto, di anuptafobia, che deriva dal latino "anupte" (non sposato) e dal greco "phobos" (paura). “Chi soffre di questa condizione prova un forte disagio all'idea di non avere un partner stabile, interpretando la condizione di singletudine come un fallimento personale o una condizione inaccettabile”, ci spiega Nicola Schulz, sottolineando come non si tratta “semplicemente del desiderio”, legittimo in quanto tra l’altro l’uomo è un essere sociale, “di essere in una relazione, ma di un'ansia patologica e debilitante associata all'essere soli”. A livello mediatico, viene definita “sindrome da Bridget Jones”, dall’iconico personaggio che dà il titolo ad alcune commedie romantiche ed esilaranti, con la protagonista alla continua ricerca dell’amore.

L’anuptafobia porta a sintomi fisici e emotivi e a comportamenti disfunzionali

Il desiderio legittimo di trovare l’amore non è per forza anuptafobia. In chi soffre di questa paura, infatti, “l'idea di rimanere single genera un'ansia sproporzionata rispetto alla situazione reale”, portando a una paura irrazionale e spesso persistente, che può portare a comportamenti disfunzionali. “La persona potrebbe entrare in relazioni insoddisfacenti o tossiche pur di evitare la solitudine e tende a idealizzare la vita di coppia e a ritenere che la felicità dipenda esclusivamente dalla presenza di un partner”. A scapito, ovviamente, anche del proprio benessere sociale, con impatti emotivi e sociali come sentimenti di inadeguatezza, bassa autostima e isolamento sociale. Non è però solamente un timore che caratterizza in modo astratto la vita di chi ne soffre, bensì può includere sintomi che vanno da quelli emotivi, come ansia, ansia o panico all'idea di rimanere single, sentimenti di solitudine, disperazione o vuoto e paura costante del giudizio degli altri, sino anche a sintomi fisici, legati all’ansia, come tachicardia, sudorazione o tremori durante episodi di ansia e disturbi del sonno o dell’appetito. “La paura della solitudine emotiva caratterizza il comportamenti di chi ne è affetto, che ricerca in modo compulsivo un partner, anche in situazioni inappropriate ed ha difficoltà a difficoltà a terminare relazioni insoddisfacenti o dannose”, enuncia l’esperto. Sapersi staccare al momento corretto, quando una storia non porta più serenità, non è mai semplice, ma per una persona con l’anuptofobia può essere davvero difficile. Infatti, “la paura della solitudine può portare a tollerare dinamiche tossiche o violente pur di mantenere una relazione e l'ossessione per le relazioni sentimentali può portare a trascurare altre forme di socialità o supporto emotivo, come amicizie e relazioni familiari”, prosegue Schulz, citando come conseguenze dell’anuptofobia anche una generale bassa qualità di vita, a causa dell’ansia costante e dei comportamenti disfunzionali, e “problemi psicologici come depressione, disturbi d'ansia generalizzati o dipendenza emotiva”.

La psicoterapia per trattare la paura della solitudine emotiva

È evidente come si tratti di una vera e propria patologia con un forte impatto sulla condizione generale, che va trattata in modo adeguato per riavere una qualità di vita migliore e, addirittura, migliorare in modo indiretto le proprie relazioni, trovando forse finalmente il tanto agognato amore. Come se ne esce, quindi? “Con il giusto supporto terapeutico e una maggiore consapevolezza”, spiega l’esperto, convinto che “sia possibile superare questa paura e sviluppare un approccio più equilibrato alle relazioni”. In particolare, è utile la psicoterapia, di tipo cognitivo-comportamentale (CBT), che “aiuta a identificare e modificare i pensieri irrazionali legati alla paura della solitudine”, di tipo psicodinamico, “dove si esplorano le radici profonde della paura, spesso legate a esperienze infantili o traumi passati” o ancora focalizzata sulle emozioni, “per lavorare sulle insicurezze emotive e sugli schemi relazionali disfunzionali”. Parlando di cause, esse si possono ricercare in relazioni passate, sia di tipo amoroso o famigliare: infatti, possono risiedere in “traumi emotivi, come abbandoni o rifiuti nelle relazioni precedenti, i quali possono contribuire a sviluppare una paura della solitudine affettiva” e in “stili di attaccamento insicuro sviluppati durante l'infanzia, che possono influenzare la percezione delle relazioni da adulti, portando a una forte dipendenza emotiva dagli altri”. Ma, sebbene come sottolineato siano diminuite rispetto a qualche anno fa, non vanno trascurate le pressioni sociali. “In alcune società, essere single può essere visto come uno stigma o una condizione indesiderabile, aumentando l'ansia di trovare un partner”. E se è vero che non riuscire a trovare la relazione desiderata può abbassare l’autostima, lo è altrettanto che chi soffre di anuptafobia ce l’ha bassa di base, perché “le persone con una scarsa fiducia in sé stesse possono temere di non essere mai abbastanza per attrarre o mantenere un partner”.

“La felicità non dipende solo da un partner”

Oltre alla terapia e a tecniche di gestione dell’ansia, come pratiche di mindfulness e rilassamento e esercizi di respirazione, è quindi indispensabile lavorare sull’autostima. “Si promuovono la consapevolezza di sé e delle proprie risorse personali e si incoraggia la persona a coltivare interessi e relazioni al di fuori dell'ambito sentimentale, oltre che agire sul supporto social, proponendo la partecipazione a gruppi di auto-aiuto o comunità di supporto e il rafforzamento delle amicizie e delle relazioni familiari”. Insomma, per qualcuno essere single può essere bello, per altri un limite, ma per uscire dall’anuptafobia bisogna comprendere a fondo che “la felicità non dipende esclusivamente dalla presenza di un partner, ma dalla capacità di costruire un rapporto sano con sé stessi e con gli altri”.

Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, Laureando magistrale in Psicologia Clinica e Dinamica, è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, Scienze e Tecniche Psicologiche, Scienze del Turismo e possiede un master in Criminologia. È assistente della celebre psichiatra italiana Donatella Marazziti e si occupa di prevenzione e ricerca presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Psichiatria e del Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria dell’Università di Pisa