Sono passati 10 anni esatti dal sanguinoso attentato alla redazione della rivista satirica francese Charlie Hebdo. Erano le 11.30 del 7 gennaio 2015. I fratelli Cherif e Said Kouachi fecero irruzione nella redazione del giornale a Parigi, uccidendo 12 persone. Fuggirono e vennero localizzati due giorni dopo durante una presa d’ostaggi. L’episodio era avvenuto mentre un terzo terrorista, Amedy Coulibaly, uccideva quattro persone, tenendone in ostaggio altre, in un supermercato. Tutti e tre gli assalitori, che avevano giurato fedeltà ad Al-Qaida, furono neutralizzati dalla polizia, ma lasciarono con le loro barbarie una scia di sangue, che provocò un’ondata di paura e solidarietà internazionale. Milioni di persone scesero nelle piazze francesi e non solo al grido di "Je suis Charlie". Il movimento divenne simbolo di unità contro l'intolleranza e l'estremismo e a favore della libertà di espressione e del diritto alla satira. Oggi, 10 anni dopo, la rivista satirica ha pubblicato un numero speciale di 32 pagine per ricordare quell'evento e commemorarne le vittime, ribadendo che "la voglia di ridere non scomparirà mai!".
Come è cambiato il terrorismo in questi dieci anni
Neanche il terrorismo, purtroppo, è scomparso. In questa data significativa il ministro francese dell'interno Bruno Retailleau ha detto in un'intervista al quotidiano Le Parisien che “la minaccia terroristica non è mai stata così presente". Per capire come sia mutato il terrorismo in questi dieci anni, abbiamo raggiunto Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight e ricercatore per l’ISPI. "L'evento del 7 gennaio 2015 rappresenta uno spartiacque del terrorismo in Europa", spiega a Ticinonews. "Se è vero che l'Europa era già stata colpita come a Madrid e a Londra 11 anni prima, l'attacco del 2015 si colloca all'interno di un nuovo terrorismo, di cui oggi osserviamo ancora gli effetti diretti", spiega Bertolotti a Ticinonews. "È un attacco organizzato, che si inserisce in un contesto mediaticamente molto impattante e che si ricollega al fenomeno dello Stato islamico, benché non sia stato rivendicato dall'allora Isis, ma da Al-Qaida nello Yemen. Si colloca come competizione tra gruppi terroristi. Dal punto di vista operativo è il primo vero attacco che in Europa riesce a mettere in ginocchio l'organizzazione della sicurezza, obbligando una mobilitazione generale delle forze armate e delle forze di polizia, che arrivò a uno schieramento di 88mila fra soldati e poliziotti. Un evento devastante dal punto di vista emotivo e operativo".
Come è mutato il terrorismo in questi dieci anni?
"È un terrorismo che da organizzato - come fu quello di Charlie Hebdo e i successivi attacchi come per esempio a Bruxelles - si trasforma e diventa un terrorismo individuale emulativo. Il terrorismo oggi è dunque più pericoloso di quanto non lo sia stato nei 10 anni passati perché è imprevedibile e disorganizzato, ma è fortemente impattante. Il numero dei terroristi che colpiscono all'interno dei singoli Stati dell'Europa geografica si è stabilizzato su cifre che vengono confermate di anno in anno".
È per questo che gli Stati, pur avendo fatto molto dal 2015, faticano a prevenire gli attacchi?
"Con la trasformazione del terrorismo da organizzato a disorganizzato, gli strumenti non sono più così efficaci come lo furono a quel tempo, esponendo ulteriormente le forze di polizia e le società alla minaccia di un terrorismo che di fatto non può essere intercettato o raramente viene intercettato".
Cosa si può fare? Bisogna imparare a convivere con il terrorismo?
"Un dato di fatto è che il terrorismo si è ormai consolidato. Convivere sì, ma non soltanto con la consapevolezza della minaccia, ma anche con una capacità di contrasto e prevenzione che deve essere adeguata con il tempo. Le strategie contro terroristi del 2015 sono strumenti efficaci, ma necessitano di essere aggiornati e adattati alla nuova realtà del terrorismo".
La minaccia terroristica fluttua anche in base alla situazione geopolitica, agli sviluppi in Medio Oriente?
"Sono un elemento determinante nella spinta e nell'accelerazione del terrorismo. Lo abbiamo visto con la vittoria dei talebani in Afghanistan e il successivo aumento di azioni violenti riconducibili allo jihadismo all'interno dei confini europei. Lo abbiamo successivamente anche visto dopo l'appello di Hamas a colpire Israele e tutti i suoi alleati, non soltanto in Medio Oriente ma ovunque questi siano. Oggi lo stiamo osservando in Siria, dove la vittoria del fronte islamista potrebbe aver determinato quell'aumento registrato tra dicembre e i primi di gennaio".
In una sua analisi recente, sottolinea anche l’importanza di avere una definizione chiara di terrorismo...
"Dal punto di vista accademico abbiamo 180 definizioni di terrorismo differente. È un grande limite perché sulla base della definizione si disegnano le strategie di contrasto. Quello che è terrorismo per alcuni Stati non lo è per altri. Questo è il primo problema sostanziale. Come bene ha fatto l'UE già nel 2016, da un punto di vista della definizione il terrorismo non deve essere più considerato nella sua volontà politica e disegno ideologico, ma nei suoi effetti. È terrorismo nel risultato che riesce ottenere: morte, distruzione, attenzione e amplificazione massmediatica. Va inserito in un contesto ideologico, che però passa in secondo piano. In questo senso il terrorismo individuale va a misurarsi nei suoi effetti, non nelle sue premesse".