Il rapporto
Abusi nella Chiesa, "In Ticino poche segnalazioni ma non significa pochi casi"
©Chiara Zocchetti
©Chiara Zocchetti
Redazione
un anno fa
È quanto emerge da rapporto sugli abusi sessuali nella Chiesa svizzera dal 1950 a oggi presentato questa mattina dall'Università di Zurigo. Domani è prevista la conferenza stampa della Diocesi di Lugano.

Alla Curia di Lugano le bocche sono cucite in merito al rapporto presentato oggi a Zurigo sul progetto pilota per la storia degli abusi sessuali nella Chiesa svizzera a partire dal 1950. Le dichiarazioni verranno rilasciate domani alle 9:30, orario in cui è prevista la conferenza stampa. Dallo studio emergono però alcuni dettagli sui casi di abusi sessuali registrati dalla Diocesi di Lugano.

Una situazione archivistica più complessa

“La situazione archivistica della Diocesi di Lugano”, scrivono gli esperti dell’Università di Zurigo (Uzh), “è più complessa rispetto a quella di altre diocesi perché l’archivio storico è stato gestito per molti anni da personale non specializzato in archivistica”. Ad oggi, continua la nota, “non esiste un inventario del patrimonio e le scatole dell’archivio sono ordinate solo sommariamente per argomento”. Attualmente, sottolineano i ricercatori, “è in corso un’ulteriore riorganizzazione del patrimonio con il supporto di un collaboratore scientifico part-time. È quindi possibile che in futuro vengano alla luce ulteriori documenti utili per il lavoro del gruppo di ricerca”.

Le tre aree di suddivisione dell’archivio

L’archivio storico della Diocesi di Lugano è suddiviso in tre aree: l’archivio pubblico, quello storico e quello segreto. È quest’ultimo a contenere i dossier di maggior interesse per il progetto pilota. Questa documentazione, si legge nel rapporto, “contiene i casi riservati di sacerdoti diocesani o extradiocesani e di membri di congregazioni religiose, ed è stata recentemente riordinata dall’attuale archivista, Don Carlo Cattaneo”.

La distruzione di alcuni documenti

I “casi riservati”, viene spiegato dagli esperti, “contengono diverse decine di dossier che, tuttavia, non documentano solo casi di abusi sessuali, ma anche comportamenti problematici agli occhi della Chiesa per altri motivi, come rapporti con donne o uomini adulti”. Questi “evidenziano una difficoltà centrale della situazione delle fonti nella diocesi di Lugano: i documenti in essi conservati sono spesso frammentari a causa della prassi archivistica, circostanza che rende difficile la ricostruzione dei casi di abuso. Diverse fonti suggeriscono inoltre che le lacune riscontrate siano dovute anche alla distruzione di documenti da situare tra la metà e la fine degli anni Novanta, la cui entità non è ancora stata chiarita”.

“Non ho mai ricevuto l’ordine di distruggere i documenti”

Parlando della distruzione di alcuni documenti, nel rapporto viene anche citato un esempio. “Nel 1995, stando ad una lettera del vicario generale al nunzio apostolico, un sacerdote ricevette dall’allora vescovo Eugenio Corecco l’ordine di […] bruciare quanto era nei […] cassetti [del vescovo] riguardante i sacerdoti […]. Quanto nell’archivio segreto è rimasto, ma senza la documentazione trattenuta da MgrCorecco e, come detto, bruciata”. Il sacerdote in questione è stato contattato dal gruppo di ricerca e ha negato di aver ricevuto l’ordine di distruggere la corrispondenza che avesse come tema quello degli abusi sessuali. “Queste affermazioni contraddittorie rendono impossibile confermare con certezza la distruzione di documenti. Inoltre, nel 1999, un altro sacerdote scriveva alla diocesi in una nota: “Ho concluso il lavoro assegnatomi e che è durato circa dieci mesi. È stato un impegno che ho svolto con il criterio evangelico della ‘misericordia’, togliendo tutti quei documenti che gettassero anche un’ombra sugli interessati. Il mio parere, maturato lungo il lavoro, è che questi documenti non vengano conservati e che prendendo come norma il can. 489.2 siano distrutti”. Nel caso in questione, scrivono gli esperti, “non è più possibile accertare se il collaboratore si sia attenuto a questi requisiti – che sono in realtà alquanto specifici – o se abbia invece deciso del destino dei documenti secondo una definizione soggettiva di ‘misericordia’. Inoltre, non è stato possibile appurare chi abbia dato l’ordine di distruggere i documenti e quale fosse la loro portata e il loro significato”.

“In Ticino poche segnalazioni, ma non significa pochi casi”

Un’altra particolarità dell’archivio della diocesi di Lugano “è la mancanza di un archivio organizzato per i dossier dell’attività della Commissione diocesana di esperti ‘Abusi sessuali in ambito ecclesiale, fatto verosimilmente dovuto al numero limitato di casi trattati dalla stessa Commissione”, viene evidenziato nel rapporto. “Dopo vari chiarimenti, anche con le persone interessate, è stato possibile individuare i verbali dal 2020 così come i dossier delle quattro persone che si sono messe in contatto con la Commissione tra il 2016 e oggi, documenti che sono stati trasferiti alla diocesi. Non sono noti altri documenti relativi al lavoro della Commissione. Il fatto che la Commissione della diocesi di Lugano si sia occupata di un numero così esiguo di casi non è verosimilmente dovuto al fatto che in Ticino si siano verificati così pochi casi di abuso sessuale nel periodo oggetto dell’indagine. Questo evidenzia piuttosto una forte riluttanza da parte delle persone offese a denunciare i casi di abuso alla Commissione ticinese, riluttanza che si manifesta anche nell’assenza di associazioni di sostegno alle persone vittime di abuso al pari di quelle esistenti nella Svizzera francese e tedesca”, continua il rapporto.

Gli abusi del chierico A.B.

Spulciando le 136 pagine del Rapporto sul progetto pilota per la storia degli abusi sessuali nel contesto della Chiesa cattolica romana in Svizzera a partire dalla metà del XX secolo emerge anche un caso di studio che tratta gli abusi commessi da A.B, un sacerdote attivo in Ticino come insegnante. "Il chierico A. B. era docente presso il seminario e un ginnasio ticinese ed era anche insegnante privato di musica", viene spiegato. "Era inoltre attivo nel settore delle attività ricreative e dei campi estivi nell’ambito dell’Azione cattolica giovanile. A. B. commise i primi casi documentati di abuso sessuale durante le sue lezioni di musica, che teneva in locali isolati all’interno di strutture ecclesiastiche o nel proprio appartamento.

Sono stata vittima di certe sporche attenzioni di un sacerdote

"Tuttavia, anche in questo caso, i genitori della bambina di otto anni coinvolta decisero di non denunciare gli abusi alle autorità. Cercarono invece di prevenire ulteriori abusi sulla loro figlia: da un lato informando tramite uno scritto il sacerdote che non avrebbero più mandato la bambina alle lezioni, e dall’altro notificando le molestie del sacerdote al vescovo, che emise una 'proibizione assoluta di ricevere […] dei ragazzi per dare loro lezioni'". Sebbene il sacerdote abbia in seguito chiesto perdono sia alla famiglia, sia al vescovo, ribadì al padre della ragazza che questi, in quanto buon cristiano, non avrebbe dovuto denunciarlo. Il provvedimento del vescovo ebbe scarso effetto e il sacerdote abusò di altri minori nei cinque anni successivi. Solo allora fu avviato un procedimento penale sulla base della denuncia di un’altra ragazza. La giovane aveva confidato al magistrato dei minorenni 'di essere stata vittima di certe sporche attenzioni di un sacerdote presso il quale sua madre la collocava perché prendesse lezioni'".

La condanna

"Il processo giudiziario, facilitato dall’immediata ammissione di colpevolezza di A. B., si concluse con la sua condanna da parte del tribunale penale a due anni di reclusione per ripetuti 'atti di libidine' e 'atti simili a congiunzione carnale' commessi nell’arco di cinque anni su sei minori di età compresa tra gli 8 e i 15 anni. L’esecuzione della pena fu poi sospesa e sostituita dal ricovero in un istituto psichiatrico, dopo che una perizia psichiatrica aveva appurato uno stato di scemata responsabilità. Con questa sentenza, tuttavia, il caso ancora non era chiuso", si continua a leggere nel rapporto.

Il trasferimento alla clinica psichiatrica di Viarnetto

"Ciò che accadde in seguito rivela la dinamica tra potere ecclesiastico e politico, che si è potuta evidenziare anche in altri casi e che dovrebbe essere approfondita in futuri progetti di ricerca. In questo caso, l’allora vescovo si rivolse all’allora direttore del Dipartimento di giustizia, con il fine di ottenere un trattamento preferenziale per il chierico, proponendo il suo trasferimento alla casa di cura della clinica psichiatrica privata di Viarnetto invece che all’ospedale psichiatrico cantonale di Mendrisio (ONC). La richiesta venne respinta, cosa che tuttavia non impedì al vescovo di presentare ulteriori istanze al Consiglio di Stato per accelerare la dimissione del sacerdote dall’ONC. Il sacerdote rimase fino alla sua morte all’interno del territorio diocesano. A quanto pare, negli anni successivi lavorò come collaboratore parrocchiale e gli fu persino conferita la facoltà di celebrare matrimoni prima di trascorrere la vecchiaia in una casa di riposo", scrivono gli studiosi dell'Università di Zurigo.

"Il sacerdote ha usato varie strategie per avvicinare i minori"

L’analisi di questo "caso permette di formulare diverse osservazioni". In primo luogo- viene evidenziato nel rapporto- "il sacerdote ha utilizzato strategie mirate per avvicinare a sé le famiglie, e quindi i minori. Ad esempio, il giudice istruttore rilevò nella sua relazione che la maggior parte dei bambini in questione era cresciuta con la sola madre. Durante le indagini preliminari, si sospettò che le madri vedessero nel parroco una persona di riferimento, e soprattutto una persona di fiducia a cui affidare i figli quando dovevano lavorare. È anche probabile che le lezioni di musica gratuite fossero una strategia del sacerdote per conquistare la riconoscenza delle madri, la cui situazione economica non avrebbe permesso loro di offrire ai figli un’attività ricreativa. Inoltre, questo rapporto di fiducia offrì al sacerdote la possibilità di coinvolgere i minori in altri eventi da lui organizzati, tra cui campi estivi e attività ricreative, ai quali egli era ugualmente presente". "Questi aspetti", si continua a leggere nella nota, "così come la reverenza che infondeva nelle allieve, sono confermati nella sentenza emessa dal tribunale penale: 'Certo e largamente provato è comunque nella fattispecie il sostanziale sentimento di soggezione, talvolta perfino di paura, che incuteva sulle giovanissime allieve questo sacerdote venerato dalle rispettive mamme e dalle mamme loro imposto quale insegnante […], anche quando qualcuna d’esse esprimeva il desiderio di interrompere le lezioni'".

La decisione di non sporgere denuncia è stata influenzata dall'ambiente sociale e dovuta alla mancanza di sostegno dalla cerchia familiare


Ciò conduce gli studiosi dell'Università di Zurigo a fare una seconda osservazione: "come nell’esempio precedente, i genitori hanno rinunciato a sporgere denuncia. I documenti mostrano che, anche in questo caso, la decisione è stata essenzialmente influenzata dall’ambiente sociale e dovuta, tra l’altro, alla mancanza di sostegno dalla cerchia familiare. In uno dei casi, in cui venne abusata la figlia di una madre divorziata, "la madre riferì durante un interrogatorio della polizia come i suoi parenti si fossero schierati con il sacerdote. Aveva notato che la figlia era cambiata e ad un certo punto aveva pensato che potesse essere successo qualcosa tra lei e il chierico: […] Ne parlai con mia madre per un consiglio, seppure vagamente, ma ne ebbi argomenti di dissuasione. […] Pertanto il mio parere personale era di lasciar perdere la cosa allontanando però la ragazza dal sacerdote. Invece, dopo qualche tempo, mia madre lo raccontò a mia sorella, suora presso l’istituto […], la quale prese accanitamente le difese di Don A. B. Così che tra me e mia figlia e loro due ci fu una rottura completa di rapporti che vige tutt’ora.”

Il terzo appunto riguarda infine "il modo in cui i responsabili ecclesiastici hanno inizialmente cercato di risolvere la questione all’interno della Chiesa – una procedura riscontrata anche in altri studi sul tema. Infine, il vescovo ha anche cercato di influenzare le autorità secolari per garantire le migliori condizioni possibili al colpevole in caso di condanna".