
Sono molteplici le ipotesi di reato nei confronti della donna, una 43enne svizzera residente nel Mendrisiotto, protagonista di un accoltellamento avvenuto nella notte del 17 febbraio dello scorso anno, come riferisce il Corriere del Ticino. Per la Corte però, prima di proseguire il dibattimento, è necessario aggiornare la perizia. Tra le accuse ci sono quelle di tentato omicidio intenzionale, omissione di soccorso, violazione del dovere di assistenza o educazione, infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti, ripetuta minaccia, ripetuta ingiuria e furto di poca entità. La donna è comparsa davanti alla Corte delle Assise Criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.
La disintossicazione
"Da quando sono in cella non prendo più niente" ha detto la donna, difesa dall’avvocato Roberto Rulli. La perita aveva proposto una misura terapeutica per curare la tossicodipendenza, visto il periodo trascorso dalla carcerazione e quindi la conseguente astinenza forzata. "Oggettivamente non è più dipendente dagli stupefacenti" ha detto il giudice in aula, tuttavia si dubita dell’adeguatezza della misura proposta dalla perita psichiatrica. Questo ha poi portato alla richiesta di nuova valutazione della misura proposta.
La vicenda
Quella notte, la donna litigò con un amico con cui aveva una relazione esclusivamente sessuale e brandendo un coltello per tagliare il pane l’ha colpito all’addome e al braccio. "Lui ha tirato un pugno sul tavolo, mi sono spaventata, sono andata in cucina e la prima cosa che ho trovato è stata un coltello", si è giustificata l'imputata. La ricostruzione nei primi verbali coincide con le sue dichiarazioni: "Ero fuori, avevo il cervello andato". Poi lo sfogo: "Sono stufa delle botte degli uomini. Voglio riprendere in mano la mia vita. Ho sbagliato. È umano sbagliare".
La somministrazione indiretta di sostanze a suo figlio
La questione non è finita qui, infatti, come scrive il quotidiano ticinese, la donna ha più volte espresso la volontà di poter riavere suo figlio, nato nel 2019. È una situazione decisamente sensibile anche perché l’imputata deve rispondere anche dell’accusa di violazione del dovere di assistenza o educazione. Oltre a sberle e sculacciate la donna, indirettamente, ha somministrato al bambino sostanze stupefacenti. Nel sangue del minore, infatti, l’Istituto Alpino di Chimica e di Tossicologia ha attestato la presenza di cocaina e anestetizzanti quali lidocaina e prilocaina. “Non sono riuscita a proteggerlo, ho perso il controllo” ha detto l'imputata, in lacrime, alla Corte.
