
Due settimane fa si è concluso davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona il procedimento, durato 14 anni, contro diversi uomini accusati di far parte dell'ndrangheta. Il tutto si è risolto con le ultime tre condanne e due proscioglimenti, tra cui quello di Fortunato Andali, scagionato dall'accusa di essere un referente della mafia calabrese.
Oggi quest'ultimo, che ha dovuto passare oltre 3 anni dietro le sbarre, ha deciso di sfogarsi sulle pagine de Il Caffè. "Si sono presi un quarto della mia vita, ma hanno danneggiato anche la mia famiglia e i miei figli che venivano derisi dai compagni per il 'papà mafioso'. E fu l'aspetto più doloroso", spiega al domenicale, aggiungendo inoltre che ci sono stati problemi a non finire: "Il mio nome in questi anni è stato infangato, ero un impresentabile. Non potevo nemmeno più aprire un conto in banca, perché automaticamente venivo segnalato dalle 'black list'. Anche per il lavoro è stato un problema".
Andali si esprime anche in merito alla lunghezza del procedimento, ben 14 anni: "La premessa è che nonostante tutto quello che mi è successo non ho mai smesso di credere fermamente nella giustizia. Perché alla fine si è fatta giustizia".
E per quanto riguarda gli oltre mille giorni passati in cella, spiega che ovviamente è stato un periodo durissimo e aggiunge: "Ho scritto una 50ina di lettere ai magistrati per proclamare la mia innocenza e denunciare gli abusi e le ingiustizia che subito dall'accusa e dal gruppo della polizia federale".
Il domenicale chiede infine a Fortunato Andali se bastano i 300'000 franchi di risarcimento che la sentenza gli riconosce: "Né 300, né 3 milioni. La vita di una persona non ha prezzo. Ciò che hanno subito i miei figli e i miei famigliari non si può risarcire coi soldi. Tutto possono sbagliare, ma ritengo sia inaccettabile che un procuratore non si fermi davanti all'evidenza dell'errore. Solo per non macchiare una carriera...".
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