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Antisemitismo senza precedenti in Svizzera, Trisconi: "Un fenomeno con radici lontane e complesse"
© Shutterstock - Ticinonews
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Redazione
2 giorni fa
L'antisemitismo in Svizzera è in aumento, ma nel Canton Ticino i casi sono pochi e non vengono monitorati online. Dal 21 marzo avrà luogo la settimana contro il razzismo per sensibilizzare la popolazione sull'uso consapevole delle parole e prevenire discriminazioni. A Ticinonews ne abbiamo parlato con la delegata cantonale all'integrazione degli stranieri.

Cresce l’antisemitismo in Svizzera. Nel 2024 i casi sono stati 221. Si tratta di un aumento del 43% rispetto al 2023 e addirittura del 287% rispetto al 2022, l'anno prima dell'attacco terroristico di Hamas in Israele. Un problema centrale - si legge nel rapporto pubblicato oggi - è che "le persone ebree svizzere vengono viste come israeliane e in qualche modo complici delle azioni e delle politiche di Tel Aviv". Tutto questo ha portato a un apice di violenza un anno fa a Zurigo, con l'accoltellamento di un ebreo ortodosso da parte di un 15enne svizzero con radici tunisine. Per la lotta all'antisemitismo non basta l'opposizione della società civile - si legge nel comunicato - serve anche il sostegno della politica e delle autorità. Per parlarcene Michela Trisconi, delegata cantonale all'integrazione degli stranieri.

Per quanto riguarda il nostro cantone come siamo messi sotto il capitolo casi di antisemitismo?
“Per il Ticino occorre distinguere i casi che vengono definiti reali, ovvero quelli. In questo senso gli indicatori danno pochi casi: nel 2024 era solamente uno mentre nel 2023 sono stati due. Quindi i casi di antisemitismo sono molto marginali nel nostro cantone. Però dipende anche da come vengono rilevati, in quanto il rapporto della federazione delle comunità israelite combina sia il rilevamento dei casi di antisemitismo sia fisici con quelli online applicando addirittura un monitoraggio attivo, strumenti che noi al momento nel cantone non abbiamo”.

Quando parliamo di casi di antisemitismo a che cosa ci riferiamo concretamente?
“È un termine complesso che indica degli episodi di odio e di discriminazione, di pregiudizio nei confronti di una persona ebrea in quanto tale. È un fenomeno che ha radici lontane e complesse, che serpeggia nella società, si tratta di un problema sociale molto esteso. Questo vale anche per il razzismo antimusulmano o anche forme di ostilità nei confronti di persone in quanto nere.”

Antisemitismo molto esteso, diceva. Eppure i casi conclamati sono pochi. Come mai voi non tenete questo monitoraggio a livello online?
“Sappiamo che si tratta della punta dell'iceberg, perché per rilevare dei casi occorre attivamente segnalare degli episodi sia in quanto vittima che testimoni e questo implica recarsi in un centro, segnarle l'episodio e contestualizzarlo. Capita anche di dover segnalare l'autore, quindi è un processo faticoso e doloroso, che avviene solo in maniera marginale. Il motivo per cui il Canton Ticino non sia ancora dotato di un monitoraggio attivo nell'online lo abbiamo valutato anche in collaborazione con le federazioni delle comunità israelite. Ma siccome questo implica un'importante investimento finanziario per dotarsi di un software abbiamo preferito attendere per essere sicuri che questo software fosse molto accurato nell'individuare gli episodi di antisemitismo online, perché questo crea problemi non da poco, e occorre circoscrivere le manifestazioni al territorio cantonale, così come essere sicuri che non siano delle manifestazioni che arrivano dalla vicina Italia o da altri Cantoni. Vorremmo quindi anche affrontare il fenomeno includendo ugualmente altre manifestazioni di intolleranza e razzismo. Penso in particolar modo al razzismo antimusulmano o anti neri, e integrarlo in un dispostivi che non preclude altre forme di discriminazione proprio perché consideriamo il fenomeno come sociale e trasversale. Quindi va affrontato a tutto tondo e non circoscritto ad un fenomeno come quello dell'antisemitismo. Pertanto noi vorremmo dotarci di una strategia, e per farlo abbiamo deciso di temporeggiare per essere sicuri prima di fare questo passo”.

Ma questi casi di antisemitismo, così come discriminazioni verso persone di religione musulmana o altre religioni, riguardano una fascia particolare della popolazione o è uniforme?
“È un fenomeno che riguarda tutta la società. Le discriminazioni in generale sono un problema sociale e travalica i gruppi sociali, politici. Non riguarda quindi una particolare fascia e non è circoscritto solo ad un target straniero come spesso accade di sentire. Quindi è un problema grave che va affrontato in maniera consapevole anche da parte di tutti gli attori in gioco e penso in particolare alle istituzioni. Per questo lo affrontiamo in maniera  anche molto strategica”. 

È possibile individuare le cause dell'antisemitismo?
“Come dicevo è un fenomeno multifattoriale che ha radici lontane nella storia, ha delle cause religiose, è nato anche in concomitanza con l'affermarsi del Cristianesimo. È poi anche stato nutrito da altri fenomeni come il complottismo, il negazionismo, per poi avere una radice molto forte in Europa se pensiamo all'olocausto, quindi è difficile dare una risposta univoca alla sua domanda, poi bisognerebbe anche essere esperti, io non lo sono, ma so parlare da quel che noi vediamo dal nostro punto di vista, però ripeto: l'antisemitismo in Europa si configura in modo molto grave pensando a quel che è capitato con l'olocausto e la Shoah”.

Ma cosa si sta facendo in termini di prevenzione, sia sull'antisemitismo che su altri episodi di razzismo? In Ticino, lo ricordiamo, inizierà tra poco la settimana contro il razzismo. Un tema dibattuto e presente.
“Per quel che riguarda l'antisemitismo è stato riportato alla cronaca anche con gli episodi gravi del 7 ottobre, quindi ha avuto una rinascita legata a questo evento. Quello che stiamo facendo è antecedente al periodo di cui ho parlato, è una sensibilizzazione a un servizio che noi  facciamo promuovendo dei progetti di sensibilizzazione che si rivolgono alla popolazione e uno di questi è la settimana d'azione contro il razzismo che viene riproposta ogni anno a partire dal 21 marzo e ha una durata di 7 giorni. Quest'anno è dedicata al peso delle parole, il titolo è ‘Questione di parole’ proprio per ribadire che una delle prima forme di razzismo e discriminazione è l'ingiuria, gli insulti e quindi saper moderare e usare le parole correttamente è già un primo passo per combattere le forme di discriminazione noi quest'anno proporremo 25 eventi di sensibilizzazione su tutto il territorio cantonale che coinvolgono enti, associazioni, comuni e addirittura anche biblioteche e libreria, vanno pièce teatrali, workshop, conferenze e abbiamo anche una collaborazione con una piattaforma come RSI e quindi ci rivolgiamo alla popolazione intera con un focus rivolto a scuole e giovani perché  pensiamo che forse questo è il target a cui bisogna rivolgersi per prevenire le manifestazioni di razzismo sin da subito discutendo di questo fenomeno con i giovani”.

Quindi a partire da venerdì parte questa settimana contro il razzismo: Obbiettivo principale?
“È proprio quello di riflettere, di discutere del tema dell'uso consapevole delle parole, evitando le ingiurie o parole e situazioni che non vengono percepite dall'autore come discriminante ma che feriscono le persone coinvolte. Ci sono anche dei workshop che vanno a riflettere sull'uso improprio di alcuni termini come la n-word o un workshop che mi preme segnalare che si rivolge soprattutto ai media, perché spesso i fenomeni di discriminazione e di razzismo vengono promossi da tomenti che accompagnano delle comunicazioni o delle informazioni mediatiche, soprattutto online. Quindi attraverso 25 progetti ed eventi crediamo di poter affrontare e far riflettere portando il tema a tutta la popolazione in maniera molto capillare”.

Può fare un esempio di discriminazione a livello mediatico che a volte leggiamo o vediamo?
“Abbiamo dei casi, come l'uso di titoli, che vanno a segnalare dei fatti di cronaca in cui si evidenzia l'origine straniera della persona quando poi questa origine di fatto non c'è, oppure si va ad associare l'origine straniera a partire da determinate caratteristiche della persona, mentre magari fa parte della nostra società e quindi non andrebbe razzializata. Ma anche dei titoli che possono ferire delle persone, ad esempio tramite l'uso della n-word o altre parole. Capita in particolare quando si va a sottolineare un'appartenenza a un'altra origine. È un'informazione che non è necessaria per la comunicazione e/o per la cronaca. In questo modo si va a stigmatizzare una persona per le origini o la diversità”.