Ticino
Bignasca "Ci vuole la bomba atomica!"
Redazione
16 anni fa
Primo Agosto leghista a Sonogno: "Un piano d'armamento per discutere con gli USA". Il Nano e Borradori concordi: "Il Ticino deve rivendicare il seggio in Consiglio federale" (FOTO)

Alla fine Giuliano Bignasca, in piedi sul palco nel capannone, ha gridato: “La bomba atomica! Ci vuole la bomba atomica!”. Deliri da Primo agosto oggi mezzogiorno a Sonogno, ultimo paesino della Val Verzasca, dove la Lega dei ticinesi ha celebrato la Festa Nazionale. Padrone di casa, Fabio Badasci, sindaco di Frasco, paesino che si trova un paio di chilometri a valle. Difficile capire se quella del piano d’armamento atomico che la Svizzera dovrebbe intraprendere stanziando 5 miliardi di franchi, così da poter trattare in modo paritario con gli Stati Uniti (vedi il discorso ufficiale pubblicato qui sotto), sia l’ennesima provocazione del leader leghista. O se nella sua testa Bignasca sia convinto che la neutrale Elvezia dovrebbe fabbricarsi un’arma di distruzione di massa. Chissà. Sia come sia, il consigliere di Stato Marco Borradori ha seguito il discorso del suo presidente con un’aria di crescente imbarazzo. Impallidendo via via. Non solo per la storia della bomba, ma anche per gli attacchi del Nano al buco miliardario dell’Alptransit, alla politica dei trasporti pubblici e alla ferrovia Stabio-Arcisate. Borradori ha poi risposto al presidente prendendo la parola sul palco in difesa dei collegamenti ferroviari, tasselli fondamentali per il futuro del Ticino. I due si sono invece trovati d’accordo sul fatto che il Ticino dovrebbe rivendicare il posto in Consiglio federale. Chiunque sia il candidato. “Mi auguro che si sappia cogliere questa occasione irripetibile – ha detto Borradori -. Ma perderemo il treno se continueremo a litigare tra di noi”. La cronaca registra la presenza a Sonogno di circa 300 militanti e simpatizzanti leghisti, con un menù a base di polenta e spezzatino. emmebi Discorso di Giuliano Bignasca Primo agosto 2009 Sonogno Quando viene attaccata, una nazione degna di questo nome risponde con le armi adeguate. Quando viene invaso, un Paese che abbia qualcuno di decente al governo risponde mandando l'Esercito verso le frontiere. Ma la Svizzera, che si trova in stato di guerra da oltre un anno continua a porgere l'altra guancia. Ed a furia di offrire l'altra guancia siamo rimasti senza la faccia. La misura è colma. Non da oggi Nel giorno in cui si dovrebbe festeggiare il "Natale della Patria", io non ho alcuna intenzione di celebrarne il funerale. Perché nella Svizzera, nel Ticino, nella gente di questa terra credo e continuo a credere. Non credo invece ad una parola di quel che ci viene raccontato né da Bruxelles né da Washington né da Parigi né da Roma: in un modo o nell'altro, tutti vogliono spolpare la Svizzera. E non credo nemmeno a Berna, la Berna che getta miliardi di franchi verso l'estero senza ottenere nulla in cambio, la Berna che fa sfilare tre fighe di gesso - spendendo milioni - da una capitale all'altra, la Berna che si prostra davanti ad un qualunque politicuzzo straniero se appena quest'ultimo alza la voce. I fatti, i semplici fatti continuano a darci ragione per tutto quel che abbiamo detto e scritto da quasi 20 anni a questa parte. Ed allora: la misura è colma, si passa alla controffensiva, piombo al piombo, e non si fanno prigionieri. Trattati come gli ultimi dei plebei Berna tratta il Ticino come se fossimo pezzenti: pensiamo alle ingerenze nella pianificazione del territorio, alla totale latitanza nella politica di controllo alle frontiere che genera, oltre a tutto, la totale insicurezza degli svizzeri per il loro posto di lavoro e lascia migliaia di nostri giovani senza certezze per il futuro, all'assoluta incapacità di generare una politica agricola rispettosa delle nostre esigenze. Pensiamo al rifiuto sistematico di prendere in considerazione il raddoppio della galleria autostradale al San Gottardo; pensiamo alle misere cifre che ci vengo

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