
Sabato 15 marzo si è purtroppo verificato un nuovo episodio di violenza sportiva, con un giovane portiere degli Allievi A che è stato aggredito al termine della partita. Il fatto è avvenuto sabato, a Cornaredo, al termine della partita di Coppa tra Rapid Lugano e San Zeno. Stando a quanto riferiva ieri il Corriere del Ticino, dopo la vittoria ai calci di rigore del San Zeno, due ragazzi del Rapid hanno colpito con un pugno e una gomitata il portiere avversario. Giovane che ha riportato una frattura del seno mandibolare e del piatto orbitale, e che ha dovuto essere ospedalizzato. Ora verrà trasferito in una struttura della Svizzera tedesca per un intervento maxillo-facciale. Sotto stretta osservazione l’occhio sinistro del ragazzo. La Federazione ticinese di calcio ha avviato una procedura, ma i due ragazzi potrebbero rischiare anche conseguenze extra sportive. Nelle prossime ore dovrebbe infatti venire inoltrata una denuncia in polizia. Per parlare di questi episodi abbiamo avuto ospite Livio Bordoli, responsabile tecnico della Federazione ticinese calcio, al quale abbiamo subito chiesto cosa pensa di questa vicenda. “Quello che so è quanto avete raccontato, ma il nostro segretario generale della Federazione è a stretto contatto on la famiglia del ragazzo in primis, sia per esserle vicino sia per capire le condizioni del ragazzo. Ma devo aprire una parentesi anche a favore delle due società, Rapid e San Zeno, perché entrambi i presidenti sono costernati di quello che è accaduto. Sono dei presidenti molto accorti sul tema, in quanto si tratta di educazione e disciplina. E si sono meravigliati anche loro di questo incidente. È stato un caso che ha preso tutti alla sprovvista, purtroppo è successo quello che è successo e dispiace a tutti”.
Ad ondate regolari ci ritroviamo a parlare di violenza in
relazione allo sport. Al di là di questo caso, ad oggi, com'è la situazione in
Ticino?
“Non sono tanti i casi, succedono raramente episodi simili. Anche
se non ricordo l’ultimo caso grave posso dire che sono passati diversi anni,
anche se a volte capita qualche rissa. E sono casi che non fanno piacere, ma
non capita spesso. Va sottolineato, però, che spesso la gente non si rende
conto che durante il turno di campionato, che va da venerdì al sabato, si
svolgono 250 partite di calcio. Ogni partita ha due squadre, e ce ne sono in
totale 500. Queste vanno moltiplicate per 20 – che sono i giocatori – e si
arriva ad avere quasi 10'000 persone in campo a giocare. Bisogna inoltre considerare
l’emozione che c’è nel calcio, quindi i casi di violenza sono davvero pochi. Anche
se un caso è già troppo. Noi siamo comunque molto presenti sul territorio,
abbiamo quasi 40 persone che ogni fine settimana si presentano sui campi a
sensibilizzare il fairplay. L'episodio di sabato è quindi fugato davvero da
qualsiasi logica. Anche perché è successo alla fine della partita, dove i
giochi erano fatti, ma i due ragazzi sono partiti e hanno colpito il ragazzo. Il
fatto che non sia successo durante la partita fa ancora più male. Come Federazione
stiamo facendo molto, anche perché capiamo che ci sono stati dei cambiamenti a
livello sociale. Aspetto sui cui stiamo lavorando molto”.
Che cosa fa concretamente la Federazione?
“Con il presidente, Silvano Beretta, abbiamo creato quattro
anni fa un gruppo di 8-9 osservatori fairplay, composto da ex giocatori di
calcio che vanno sui campi - specialmente nelle partite di terza, quarta e
allievi A - a seguire le partite in aggiunta agli ispettori arbitri che abbiamo.
Quindi, come detto, ci sono tra i 30 e i 40 personaggi che vanno ad osservare
le partite. Ma queste sono più di 250, quindi noi non possiamo avere 250
persone che vanno su ogni campo. La spesa annua sulla sensibilizzazione al
fairplay supera i 100'000 franchi da parte della Federazione”.
A suo avviso, l'attuale sistema di prevenzione, di
controllo e di sanzioni, è sufficiente per prevenire episodi di violenza?
“Devo essere sincero, sì e no. Noi stiamo facendo
tantissimo, sappiamo che è un aspetto molto importante e che è cambiato negli
ultimi anni. Succederà sempre, purtroppo, perché parlando anche con i dirigenti
è evidente che tutte le squadre fanno una sensibilizzazione. E anche gli
allenatori sono migliorati. Come ho detto prima, noi stiamo facendo molto ma penso,
purtroppo, che dei casi isolati capiteranno ancora. Ma non possiamo farci
nulla. Come può capitare in un bar, in una discoteca o davanti ad una scuola. Noi
siamo consapevoli che dobbiamo lavorare. Anche durante i corsi che facciamo agli
allenatori, abbiamo messo molto al centro l'aspetto sociale che è cambiato
molto negli ultimi anni, oltre che alla tecnica e alla tattica".
Come sono i giovani di oggi su questo tema rispetto al
passato? È cambiato qualcosa?
“Non dal mio punto di vista. La maggior parte dei ragazzi
che incontro io sono educati e ben disposti. Ogni weekend a vedere 2-3 partite,
e di casi eclatanti non ne ho mai visti.
È vero, ci sono delle discussioni contro l'arbitro, tra giocatori, ma
fortunatamente non ho mai visto scene di violenza. Magari anche perché vendendo
un personaggio della Federazione la gente si sente un po' osservata. Quindi,
riassumendo, per me non è cambiato nulla. Quando giocavo io certe cose succedevano,
ma ora viene tutto filmato e postato sui social in pochi secondi. In ogni caso
le risse ci sono sempre state”.
A volte è forse più complicato gestire i genitori a bordo
campo che non i ragazzi in campo. Voi in questo senso lavorate anche con le famiglie?
“Assolutamente sì, noi lavoriamo con la società. Anche se son
possiamo arrivare ovunque facciamo un grosso lavoro. Purtroppo avete ragione, i
genitori sono un altro tema molto importante. Cerchiamo anche di sensibilizzarli,
ma spesso - quando facciamo le riunioni – a parteciparvi sono solitamente
quelli che si comportano bene. Ma non possiamo obbligare tutte le famiglie a
partecipare alle riunioni. Quindi ci troviamo poi sul campo dei genitori che
pensano di avere dei fenomeni come figli, o non riescono a capire che il calcio
deve essere uno sport sano, dove il ragazzo si deve divertire”.
C'è un appello che lei si sente di fare a famiglie,
giocatori, ai ragazzi e a chiunque orbita attorno a questo mondo?
“Quello che dico ai ragazzi durante tutte le riunioni e durante
i miei corsi è ‘andate, divertitevi, lasciatevi divertire’. È la cosa più bella
che esista vedere questi bambini che non sentono alcun commento da fuori. Da circa
2-3 anni i bambini dai 7 agli 11 anni non hanno classifiche ai campionati,
quindi giocano, la partita finisce ma non ci sono classifiche. È diventato un altro
calcio, con i genitori che devono stare fuori. Va bene incitarli, ma non devono
fare commenti tecnici o criticare l’operato dell’arbitro o dell’allenatore. Bisogna
andare e viverlo con felicità e senza stress, perché i bambini vogliono giocare
senza sentire i commenti dei genitori”.
È un messaggio bellissimo, perché del resto stiamo pur
sempre parlando di un gioco. E tale dovrebbe essere.
“Senza dubbio, io dico sempre anche agli allenatori: ‘se
noi guardiamo chi gioca in Champions League, gli allenatori si comportano molto
in modo educato, disciplinato’. E si giocano milioni di franchi. Noi invece vediamo
che più il livello si abbassa e meno c'è educazione nello sport. Purtroppo,
nelle nostre categorie ci sono tanti allenatori che non hanno il patentino o
che non hanno fatto i corsi, e non capiscono che il gioco deve essere fine a se
stesso. Giocare e divertirsi. Quando la partita è finita, bisogna essere una
cosa unica ed essere tutti felici di aver fatto una bella cosa durante la
giornata”.