Il periodo dell'anno che stiamo vivendo, oltre alle feste e alla possibilità di trascorrere del tempo con i propri cari, offre diversi spunti di riflessione relativi al Natale. Ma che significato può avere il Natale in un momento storico complesso, pieno di incertezze e di guerre? Ticinonews ne ha parlato con l'amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, Alain de Raemy. “Siamo confrontati con la realtà di un mondo che ci viene descritto, anche dalla fede, come ferito dal peccato originale", afferma Mons. de Raemy. "Un brutto termine, 'peccato originale', utilizzato per dire che l'umanità ha avuto un disturbo fin dall'inizio, il quale fa sì che l'uomo non sia sempre spontaneamente buono". E quando è confrontato con una difficoltà o con la cattiveria dell'altro "reagisce in modo vendicativo invece di provare a trovare una strada in pace. Di conflitti ce ne sono sempre stati ma adesso, per colpa della tecnica e delle possibilità offerte dagli armamenti, assumono porzioni terribili. Ciò è un dramma e Cristo ci chiama proprio a cambiare questo mondo. È un cammino molto difficile e la diplomazia ne è la prova”.
E Cristo potrebbe essere un buon diplomatico?
“Sarebbe un diplomatico eccellente, perché sa dire la verità senza mai rifiutare nessuno. È andato dai farisei a cena e a pranzo, ma anche dai più poveri. Si è presentato dove nessuno gli avrebbe consigliato di recarsi. Lui non si fermava davanti a nessuna porta, entrava senza forzare e questa è dunque l'attitudine giusta: non avere pregiudizi. Ognuno di noi è segnato dal male e dal bene ed è a immagine e somiglianza di Dio. Questa è la parte più importante dell'essere umano”.
Il tema della speranza è strettamente collegato al Natale, ma in molti la perdono. Come ritrovarla?
“Io consiglio sempre di entrare nella prima chiesa aperta in cui ci si imbatte, fermarsi davanti al presepe, guardare quel bambino e dire: 'Guarda, Signore, se sei tu che hai condiviso la nostra natura umana a tal punto da essere anche il bambino che dipendeva dai suoi genitori per sopravvivere, se sei entrato in questa fragilità per provarci il tuo amore e la tua vicinanza, allora c'è speranza per tutti”.
Penso al tema della fuga di Gesù, che ancora nel grembo materno è fuggito con la sua famiglia. È la fuga, oggi, di tutti gli immigrati che poi arrivano ai nostri confini. Il tema dell'accoglienza è caro anche a Papa Francesco. Dobbiamo accogliere di più?
“Penso che possiamo sempre accogliere di più. Noi ci siamo abituati a un certo comfort, ma io ricordo che non tanti anni fa, in Svizzera, non c'era una stanza per ogni figlio e dunque si condividevano tanti spazi, magari anche tra generazioni diverse. Un nonno o una nonna potevano abitare ancora con la famiglia. Adesso invece siamo sempre più isolati e questo fa sì che diventiamo automaticamente più egoisti. Secondo me, una maggiore condivisione è sempre possibile e ci fa bene, perché ci fa scoprire l'altro ed è sempre una bella sfida”.
A Natale le chiese si riempiono di persone che vengono solamente in questa occasione. Cosa può dire loro un sacerdote?
“Che bello che ci siete. Benvenuti, perché anche se non vi vedo mai, oggi è un giorno del tutto speciale per noi e per voi. Festeggiamo dunque insieme e rallegriamoci di vederci e di avere questo punto di riferimento che è l'amore di Dio per noi, manifestato in un bambino”.