A due mesi e mezzo dall’acquisizione di Credit Suisse, il Ceo di UBS Sergio Ermotti ha annunciato ufficialmente questa mattina il numero dei licenziamenti. L'operazione costerà 3'000 posti di lavoro in Svizzera. Per approfondire l’argomento abbiamo interpellato il presidente dell’associazione bancaria ticinese Alberto Petruzzella.
Era inevitabile che ci fossero dei licenziamenti. Negli scorsi mesi erano circolate diverse cifre, adesso c'è un numero preciso. Tremila sono troppi?
“Si parlava di 10mila posti di lavoro e siamo arrivati a numero sostanzialmente più basso. Quello che importa al Ticino è che tre quarti di questo numero è previsto a Zurigo, dove si trovano tutte le funzioni di “back office”, “operation” e tutta l’informatica. Come ha detto il consigliere federale Guy Parmelin, ogni licenziamento è di troppo e bisognerà fare di tutto per limitare questo numero, trovando delle soluzioni per chi non avrà un posto di lavoro alla nuova UBS”.
Sarà inevitabile che il Ticino venga colpito da questi licenziamenti. Sergio Ermotti oggi in conferenza stampa ha detto che il mercato, a livello elvetico, offre tante possibilità. È così anche in Ticino?
“Forse c'è qualche possibilità in meno rispetto alla Svizzera tedesca. Siamo più piccoli, ma penso che ci siano delle buone possibilità di riallocare questo personale. In primo luogo, non si tratta di fare tutto subito: c'è un anno prima della fusione e due anni prima del trasferimento della clientela. Ci potrà essere una certa fluttuazione naturale e ci sarà anche del tempo per formare del personale che forse non avrà più un posto all'interno della banca nella stessa posizione. È quindi possibile trovare un altro posto sempre all'interno dell’istituto di credito. Se non fosse possibile, il mercato del lavoro nel settore bancario offre qualche opportunità. C'è inoltre il mercato del lavoro esterno. Penso che prendendosi il tempo e andando ad analizzare caso per caso, sarà possibile ridurre al minimo il numero delle persone che dovranno usufruire di questo piano sociale, che i sindacati hanno tra l’altro definito particolarmente generoso”.
Voi come associazione bancaria vi mettete a disposizione di chi un giorno dovesse restare senza lavoro per aiutarlo nella riqualifica?
“Sì, in Ticino abbiamo la fortuna di avere il centro studi di Villa Negroni, che è un centro di formazione specializzato per le professioni finanziarie. In questo momento giocherà un ruolo importante per riqualificare il personale, formarlo ulteriormente e minimizzare i danni di questa fusione”.
Questa fusione ha dato vita ad una nuova banca, che preoccupa alcuni analisti. C’è chi si è espresso in modo critico. Lei cosa ne pensa?
“La banca sarà molto grande e sarà molto importante per la Svizzera. Ma più della grandezza è importante il profilo del rischio. UBS negli ultimi dieci anni è stata brava a ridurre il rischio e anche Sergio Ermotti è andato nella stessa direzione per ridurre i rischi in Credit Suisse. In futuro sarà importante non guardare solo la dimensione, ma andare alla sostanza e fare in modo che i rischi siano equilibrati e gestibili”.
La notizia di oggi per i dipendenti è un terremoto, per i clienti cambierà qualcosa?
“Per i dipendenti il terremoto è stato il quasi fallimento di Credit Suisse. Il fatto che ora ci siano dei numeri chiari dà un certo sollievo. Quando saranno comunicate le strutture definitive e le persone sapranno cosa hanno davanti, saranno più tranquille. Per i clienti non ci sono grandi problemi, la nuova banca è in grado di gestirli e ogni cliente deciderà se si trova bene o se ha voglia di cambiare. Mi sembra di poter dire che in Svizzera la concorrenza è sufficiente per garantire a tutta la clientela delle buone opzioni”.
Ermotti in conferenza stampa ha spiegato che l'integrazione è la soluzione migliore, l'altra sarebbe stata l'esternalizzazione. Perché quest'ultima non era una soluzione fattibile?
“Si è parlato tanto di rendere indipendente Credit Suisse. A me e a tanti altri è sembrata una soluzione difficile da applicare. Credit Suisse Svizzera aveva un senso all'interno di un gruppo più grande e non si può solo esternalizzare la funzione clienti. Ci sono poi tutte le attività internazionali che sono necessarie per poter portare avanti una banca di questo tipo. Tutto sommato penso che sia stata la migliore delle soluzioni, forse l'unica realmente realizzabile”.
Questo significa che il marchio Credit Suisse sparirà. Quale sarà l'impatto anche a livello di immagine?
“Il marchio sparirà. È un peccato perché ha una storia lunga che è terminata male. Purtroppo, il consiglio di amministrazione e la direzione generale della banca non sono stati all'altezza di chi l'ha fondata e dei manager che per tanti anni l’hanno portata a raccogliere tante soddisfazioni. È una bella storia che è davvero finita male”.