Nato a Roma nel 1977, dal 2012 a Zurigo. La storia di Giorgio Ugazio potrebbe essere rubricata fra le “fughe dei cervelli italiani”, non fosse che la sua prospettiva futura incuriosisce più della sua traiettoria passata.
Dal 2016 Giorgio documenta in un blog i suoi passi verso la "Financial indipendence" e "l’Early Retirement", ovvero il riuscire a mantenersi dignitosamente senza la necessità di lavorare. Questi concetti sono un obiettivo che ha spinto il software engineer a licenziarsi da Google in piena pandemia. Da quel momento, anche grazie ad un vlog del content creator Marcello Ascani, è cresciuta la notorietà di Giorgio, in arte Mr Rip, divenuto a sua volta creatore di contenuti su temi di tecnologia e finanza.
Una figura apprezzata dalla comunità online anzitutto per la completa trasparenza sulla sua situazione finanziaria e per una capacità nel rendere semplici temi complessi. Raccontando le sue esperienze senza promettere facili soluzioni per arricchirsi, come invece capita spesso in rete, Mr Rip si è costruito una solida credibilità.
Un interlocutore distante e imparziale che abbiamo raggiunto a Zurigo per parlare di criptovalute, di blockchain e del Lugano Plan B, un tema che sul Ceresio non smette di far discutere.
A Zurigo avete sentito parlare del Lugano Plan B?
“Sì, diverse volte. Non è un argomento quotidiano ma ho sentito parlare di progetti a Lugano. In tutta onestà non sono al corrente di quali siano questi progetti, ma so che c’è fermento”.
A tuo avviso quali attività potrebbero svilupparsi attorno alle criptovalute e alla blockchain?
“Credo che siamo in una fase ancora molto esplorativa. Ho difficoltà a fare previsioni. C’è una probabilità non bassissima che fra 10 anni rideremo del fatto che abbiamo preso in considerazione queste tecnologie. Però non è detto. Magari si troveranno delle applicazioni utili. Al momento siamo alle speculazioni su possibili utilizzi. Credo che al momento il campo più percorribile sia la decentralizzazione: tutto ciò che può essere verificato e verificabile in tempo reale da chiunque. Questa potrebbe essere un’applicazione per la blockchain. Il problema in questo caso riguarderebbe la privacy. Idealmente sarebbe bello che la mia cartella medica fosse accessibile a tutti i miei dottori, il problema è che sarebbe anche accessibile a chiunque altro”.
Non sei un fan delle criptovalute, che genere d’investimento lo reputi?
“Non mi piace il verbo ‘investire’ associato alle criptovalute, perché non c’è un investimento. Quando parlo d’investimenti penso a Warren Buffet o altri investitori che raccontano d’investire in asset produttivi: comprare un’azienda e partecipare agli utili o prestare soldi a qualcuno e comprare obbligazioni, oppure comprare un appartamento e affittarlo. Qui parliamo di pura speculazione. Compro qualcosa nella speranza che domani la rivendo ad un prezzo maggiore. Speculare è una sorta di gioco. Non deve essere neanche lontanamente una percentuale significativa delle proprie finanze. Se vuoi divertirti e provare a vedere se trovi qualcuno disposto a pagare di più di quanto hai pagato, fallo.
A tuo avviso che futuro avranno le criptovalute?
“Se prendiamo l’ecosistema criptovalute nel suo insieme, siamo più o meno ad un terzo come 'global market cap' rispetto al picco di un anno fa. Quando il Dow Jones ha perso due terzi del valore eravamo nel 1929. Nonostante sia stata una batosta per chi investiva in cripto, sembra che ci si creda ancora. Alla fine, stiamo parlando di una profezia che si autoadempie. Facciamo un esempio: se noi decidiamo che un bicchiere ha valore e decidiamo di non venderlo a meno di un milione, il prezzo può essere ad un milione però non c’è nessuna transazione. Anche se reputassi che le cripto non hanno nessun valore intrinseco, non è detto che il prezzo non possa schizzare alle stelle semplicemente per follia collettiva. È difficilissimo fare previsioni sul futuro. In passato ho pensato che 'l’all-time high' fosse stato raggiunto e si andava verso un valore zero, oggi penso ‘non è detto’. Ci sono scenari tranquilli in cui il valore potrebbe risalire, ma onestamente è difficile da prevedere.
E immaginare le cripto come “moneta di internet”? In fondo era questo uno degli obiettivi di Bitcoin.
“È un concetto affascinante! Ho letto il whitepaper di Bitcoin quando è nato e un po’ mi mangio le mani perché a suo tempo non ho giocato. Detto questo, l’idea di una moneta di internet ha il suo fascino, dà la percezione di liberarti dagli Stati, di non aver le banche, eccetera. Poi però, più vado avanti più vedo problemi e modi per correggerli. Il sistema monetario ha impiegato migliaia di anni per trovare soluzioni: pensiamo alla sicurezza, al concetto di 'know your customer' per evitare truffe, alle regolamentazioni su come possono essere pompati o dumpati i prodotti.
Forse, per tornare alla domanda, quello che emerge è che internet ha bisogno di una moneta unica. È come se i nerd stessero dicendo ai potenti del mondo ‘ci avete rotto le scatole con il compra-vendi di franchi, euro, dollari, vogliamo una valuta unica’. Quello potrebbe essere un bel segnale, un po’ come voleva essere l’esperanto, che poi non ha preso piede. L’idea di una moneta di internet – ripeto – è affascinante ma non dovrebbe essere necessariamente decentralizzata e basata sulla blockchain”.
Veniamo proprio alla blockchain, a tuo avviso quali applicazioni di questa tecnologia hanno un potenziale?
“Vedo ancora qualche speranza negli NFT, nel mondo 'smart contracts' e nell’asset tokenization. NFT non inteso come il jpeg di una scimmia, ma come oggetti digitali. Recentemente sono stato coinvolto in una discussione online in cui si discuteva se un personaggio famoso avesse o meno una laurea e si erano mossi quattro giornalisti d’inchiesta per scoprirlo. Immaginiamo che le lauree siano sulla blockchain. Basterebbero tre secondi per fare una verifica. In ambito lavorativo basterebbe allegare al curriculum un link al proprio wallet per permettere una verifica. Vedo applicazioni in questo senso. Applicazioni che non hanno un carattere speculativo.
Un’altra cosa che mi affascina è 'l’assets tokenization'. Oggi non posso comprarmi uno 0.1% della Monna Lisa. Un domani la Monna Lisa potrebbe essere un asset che sta dietro a un token fungibile la cui funzione è far diventare proprietari di un pezzo di cose. Questo è un ambito in cui vedo qualche potenziale.
Infine, ci sono gli 'smart contracts', anche se non sembra che siamo in grado di uscire dal circuito dell’autoreferenzialità. Gli smart contracts sarebbero interessanti se potessero interagire con il mondo esterno, quindi con oracoli (input che permettono di comunicare con il mondo esterno, ndr), ma al momento gli oracoli non funzionano.
A mio avviso sono queste le possibilità, ma tutte quante con alcune postille. C’è del potenziale ma al momento non c’è un’applicazione che mi fa alzare le antenne.”
Passiamo a te, a che punto sei con il tuo progetto di early retirement?
“Ho fatto troppi figli (ride), ogni volta che fai un figlio i numeri salgono, soprattutto qui in Svizzera con le rette degli asili nido. È un po’ come l’orizzonte: fai due passi e l’orizzonte si sposta. Scherzi a parte, mi sono concesso di licenziarmi da aziende importanti per lavorare su progetti che voglio io. Sto godendo di parte di quella libertà che mi è data dall’aver risparmiato e investito. Ad oggi mi sento libero al 60%, che non è male. Posso decidere di fermarmi e dirmi ‘sai che c’è? Nei prossimi tre anni non faccio niente’. Posso farlo”.