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Testimonianze
Famiglie adottive sconvolte dalla stretta di Berna, "Una pagina molto triste della nostra storia"
Redazione
24 giorni fa
“La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Siamo sconvolti”. È il sentimento condiviso tra le famiglie adottive del nostro cantone dopo la decisione del Consiglio federale di vietare le adozioni internazionali, nel tentativo di prevenire possibili abusi. Una scelta che lascia sgomento e apre molte domande sul futuro. A Ticinonews abbiamo sentito le testimonianze di chi ha già adottato e di chi, invece, è ancora in attesa.

Il provvedimento del Consiglio federale, che intende vietare in futuro le adozioni internazionali per prevenire abusi, non ha scosso solo il mondo delle associazioni che si occupano di questa tematica, ma anche famiglie ticinesi che in passato hanno avuto questa opportunità o la stanno cercando. Una scelta, quella del Governo, che ha lasciato sgomento e apre molte domande sul futuro. Ticinonews ha raccolto la testimonianza di Fabia Pellizzoni, mamma di due bambini del Burkina Faso, di Giada Zucchetti, che tra pochi mesi potrà abbracciare il suo bambino e di Manuele Bertoli, già consigliere di Stato, che nel 2007 ha adottato una bambina etiope.

"Tanta preoccupazione e tristezza"

Dopo un'attesa durata anni, nei prossimi mesi Giada Zucchetti potrà volare con il marito in Burkina Faso per poter abbracciare il suo bimbo. Una gioia immensa, ma oscurata in parte dalla notizia di ieri. "Stavo ascoltando la radio quando ho appreso la notizia, ma sono dovuta tornare indietro per capirla davvero. Nel nostro caso l'iter potrà andare avanti normalmente. Ciò non toglie il fatto di provare tanta preoccupazione e tristezza per quello che sarà in futuro per le altre famiglie e i bambini". 

"Una pagina triste della storia del nostro Paese"

La notizia ha sconvolto anche Fabia Pellizzone che conosce molto bene il percorso dell'adozione, avendolo fatto due volte e diventando mamma di un bambino e di una bambina. “Credo che sia una pagina molto triste della storia del nostro Paese. Quello che più mi rattrista è pensare che una cosa simile possa davvero succedere. Mi auguro di no, perché mi domando cosa racconterò domani ai miei figli? Dirò che il loro Paese non ha lottato per i bimbi in difficoltà, girando loro le spalle e scegliendo la via più facile. Non hanno combattuto per loro”. Per ora Fabia non ha affrontato la questione con i propri bimbi perché sono ancora piccoli, "ma potrebbero sentire la notizia e quindi affronteremo il tema utilizzando le giuste parole". Attraverso l'adozione si è creata anche una cerchia di amicizie, racconta Fabia. "Abbiamo un gruppo. In Ticino sono una ventina le famiglie che hanno adottato dei figli e siamo molto uniti tra noi. Ci ritroviamo almeno 3-4 volte all’anno tutti insieme, e singolarmente più spesso. Cerchiamo di tenere questi legami tra i bimbi. Il telefono da ieri scotta: ci stiamo mobilitando e non resteremo fermi davanti a questo”.

Bertoli: "È come se chiudessimo le chiese per via degli abusi"

Abbiamo sentito le due testimonianze molto toccanti ma sono soltanto due di tante perché sono tante le famiglie in Ticino che decidono di percorrere questa strada o che vorrebbero poterla percorrere. Tra loro c'è anche Manuele Bertoli, già consigliere di Stato socialista e padre di due bimbi, una etiope adottata nel 2007. Abbiamo sentito le testimonianze e la decisione del consiglio federale che crea preoccupazione. Lei è sensibile al tema (nel 2007 ha adottato una bambina etiope), qual è stata la sua reazione, ieri, di fronte all'annuncio? “Certamente con una buona dose di sorpresa, in particolare per le motivazioni addotte a sostegno di questa proposta. A me non piace mai quando si comincia ad analizzare un fenomeno partendo dalle cose più estreme. In questo caso si è partiti dalle irregolarità, che hanno fatto optare per la chiusura generale”. Un approccio che Bertoli reputa sbagliato, ma anche poco coraggioso, “perché è una fuga dalla responsabilità di gestire un ambito delicato, che deve avere i bambini – così come la loro protezione e il loro benessere – al centro, seguendo una procedura corretta ed evitando tutto quello che può girarci attorno di brutto, ma scappare e negare questa procedura mi sembra poco coraggioso e sbagliato”. Bertoli ha poi fatto un’analogia: “È come se decidessimo di chiudere le chiese perché ci sono stati degli abusi di carattere sessuale. Credo che nessuno neghi il fenomeno, però la risposta sarebbe peggiore della soluzione e della comprensione del fenomeno e del fare passi avanti affinché le cose non succedano più”.

L'intervista completa

 

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