Incontri
"Il popolo iraniano è stanco della dittatura, ma per vincere bisogna essere uniti"
Laura Zucchetti
2 anni fa
Intrevista a Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003, che negli scorsi giorni era in Ticino per Chiasso Letteraria. Con lei abbiamo parlato della situazione che sta vivendo il suo paese, l'Iran, interessato da forti proteste dopo l'uccisione della giovane Mahsa Amini.

Premio Nobel per la pace nel 2003, l’avvocata iraniana Shirin Ebadi è stata ospite venerdì sera di Chiasso Letteraria, evento dedicato, quest’anno, al tema della dissidenza. Una dissidenza che la pacifista Ebadi sta pagando con l’esilio: ha dovuto lasciare il suo paese nel 2009, dopo una strenua lotta per la democrazia e per il rispetto dei diritti umani. Ebadi è stata la prima iraniana e la prima donna musulmana a ottenere il Nobel per la pace. L'abbiamo incontrata a Chiasso e, con lei, abbiamo parlato della delicata situazione che l’Iran sta vivendo, con l’ondata di proteste scatenate, lo scorso settembre, dall’uccisione della giovane Mahsa Amini. "Il popolo iraniano è stanco della dittatura religiosa", ci racconta Ebadi. "Per questo motivo tutti si sono uniti e sono scesi in piazza contro il regime. Vogliono farlo crollare, in favore di un sistema democratico e secolare".

Anche gli uomini lottano accanto alle donne...

"Non è la prima volta che gli uomini lottano al fianco delle donne. Già in un recente passato abbiamo visto il popolo unito nelle proprie battaglie, anche perché il non rispetto dei diritti umani è cresciuto, in Iran. Il valore della moneta persiana è crollato e nel Paese c’è una grande povertà. La lotta è ormai la lotta di tutti".

Dal suo Paese arrivano immagini molto forti. Che effetto le fa vederle?

 "È così. Il regime iraniano sta mettendo in campo tutta la violenza di cui è capace per controllare e opprimere il popolo iraniano. Ma i cittadini non ha alcuna intenzione di cedere. La gente vuole che il regime se ne vada".

Secondo lei questa volta si arriverà a ottenere quello per cui si sta lottando?

"Sì, questa volta la gente ha deciso di vincere contro il regime, a qualsiasi costo. Addirittura sacrificando la propria libertà e la propria vita. Hanno deciso di non aver paura. E per questo motivo questa volta, sì, a qualsiasi costo, vinceranno".

Ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 2003. Sono quindi passati 20 anni: in questo periodo, l'Iran è cambiato? Se sì, in che modo?

"Purtroppo devo dire che, da allora, il non rispetto dei diritti umani è peggiorato. È molto peggiorato. Non solo: la gente è ancora più povera, la corruzione è ovunque e galoppa. Quindi sì, le cose sono cambiate, ma, purtroppo, lo hanno fatto in senso negativo. La situazione è molto peggiore. E il resto del mondo…se la gente guarda all’Iran come a un Paese lontano, che non lo riguarda; se le persone pensano che i problemi dell’Iran non sono un loro affare, che il destino di altri popoli non c’entra con il loro destino...finché sarà così, nulla potrà davvero cambiare. È necessario che le persone cambino il loro modo di pensare. È inutile pensare: “Tanto loro sono lontani”, il Covid ci ha dimostrato che le distanze non esistono. La gente deve unirsi per combattere e cambiare davvero le cose. I diritti umani sono un valore universale. Ovunque siamo, dobbiamo essere uniti e dobbiamo combattere, tutti insieme, per poter ottenere il loro rispetto. Se vogliamo ottenere dei risultati, dobbiamo essere uniti".