Anni settanta, New York. Nella comunità afroamericana e latinoamericana del Bronx si fa largo un nuovo genere musicale: il rap. Dai dissing per le strade a veri e propri album, questo genere è riuscito non solo a combattere pregiudizi e stereotipi legati alla violenza e alle gang, ma ha anche infranto le barriere linguistiche e culturali approdando anche in Europa durante gli anni ottanta, partendo dalla Francia per poi espandersi nel resto delle continente. Una storia che ha quindi avuto inizio più di 50 anni fa e che col passare del tempo è riuscita a eliminare l’idea generale che il rapping appartenga unicamente agli Stati Uniti e a determinate comunità etniche. Dalla Francia alla Spagna, passando per la Germania, il Belgio e l’Italia fino alla nostra piccola Svizzera, questo controverso quanto innovativo modo di fare musica ha dato la possibilità a diversi artisti di esprimersi in un modo che solo il rap permette di fare, raccontando realtà diverse, critiche e questioni sociali in una dialettica tipica di questo mondo, caratterizzato da rime e incastri e dove il flow la fa da padrone. In questo senso, anche il Ticino negli ultimi 30 anni ha tirato fuori dal cilindro una serie di artisti che hanno contribuito in maniera attiva a portare il rap anche nel nostro Cantone. Non a caso, negli ultimi tempi è stato trasmesso il documentario prodotto dalla RSI “Sulla Mappa”. Un'opera che intreccia tre decenni di narrazione attraverso un genere musicale più vibrante che mai. Un viaggio che ripercorre luoghi e non luoghi, sogni, impegno e passione di tanti giovani che hanno trovato nei beat, nelle rime, nei contest e nella musica un rifugio da una realtà che, spesso, per loro può sembrare opprimente e insoddisfacente. Un'espressione di sfogo e ribellione, di trionfi e fallimenti, di ricordi e nostalgia, raccontata da Maxi B, Mattak, Jay K e Mardoch nell’omonimo brano musicale uscito il 7 dicembre.
“Due artisti che si dividono i trent'anni di un Cantone”
Maxi B, speaker di Radio3i, può essere considerato uno dei primi ad aver portato (agli inizi degli anni novanta) la scena rap nel nostro Cantone. Anni in cui i cambiamenti sono stati vissuti in prima persona da chi ha deciso di far parte di questo mondo fin dal principio. Anni che ora sono stati raccontati ripercorrendo le principali tappe di questo trentennio, dagli albori del genere fino alla trap di adesso. “L’idea è nata da Mattak e dalla sua volontà di fare qualcosa insieme, anche per creare una colonna sonora per il documentario che ripercorresse ovviamente questi anni”, ci racconta Maxi B. “Per me, così come per lui, era naturale farlo unendo la mia visione – che parte appunto dagli anni ‘90 – alla sua, che rappresenta invece la seconda metà degli anni 2000. Se poi pensiamo al fatto che al brano hanno preso parte anche Jay K e Mardoch ecco che abbiamo più generazioni diverse in un unico progetto”. Mattak ci ha poi confermato che si tratta di una sorta di inno al Ticino, con diverse voci che raccontano tante piccole storie che vanno a comporne una principale. “L’intento è infatti quello di raccontare la propria visione e il proprio vissuto, motivo per cui scrivere questo pezzo è stato emozionante e importante, ma per niente scontato”. Un approccio alla scrittura che accomuna gli artisti in questione, il cui risultato finale è infatti un prodotto naturale e non forzato da qualcosa o qualcuno, “perché in fondo ho semplicemente raccontato il mio passato e il mio percorso. E l’ho fatto ripercorrendo tutti i ricordi, le persone incontrate e i traguardi raggiunti durante questi miei primi anni sulla scena” ci ha spiegato l’artista di Comano.
Una fotografia delle memorie più care
Una canzone inedita che – è bene sottolinearlo – non va però considerata un featuring o una partecipazione, bensì un brano in cui non c’è un solo protagonista. “Il bello è proprio il fatto che si tratta di una canzone di tutti. Ed è questa l’idea principale, il fatto di essere due artisti che si dividono i trent'anni di un intero Cantone”. Proprio come il documentario, persino la canzone “Sulla Mappa” ha preso anche una connotazione sociale. “Molte persone che solitamente non ascoltano la musica rap si rivedono nel nostro testo. E questo nonostante non abbiano magari vissuto espressamente quanto viene rappato. I ticinesi ci si rivedono perché i luoghi, le persone - così come alcuni nomi - si conoscono anche al di fuori della scena musicale”. Per i due artisti questa traccia cerca infatti di fornire una fotografia di tutte le memorie più belle relative al Ticino degli ultimi tre decenni, che esula sicuramente dalla politica e da altri temi. “Ma credo sia proprio questo il punto forte di questa colonna sonora”, afferma Maxi B.
“Una scena italofona, non italiana”
Una conferma che forse “avevamo un po’ di ragione nel continuare a ribadire che il rap si può fare anche al di fuori degli Stati Uniti e delle banlieue parigine. Se tu racconti il tuo luogo, le tue persone e quello che succede nella tua realtà è quasi normale che le persone che ci vivono si rivedono. E questo per me crea una valore aggiunto”. Dal canto suo, Mattak ha iniziato a fare rap 16 anni fa dopo essere rimasto stregato dal brano ‘100 barre’ di Mistaman. “Da quel momento è stata una continua evoluzione, durante la quale non ho mai smesso di cercare di migliorarmi e di creare uno stile che fosse mio. È un percorso che va di pari passo con la mia maturazione personale come persona. Sono 16 anni ormai che lo faccio e cerco continuamente di superarmi, e ci tengo tantissimo. Penso che l’autenticità nella musica sia la cosa più importante ed è fondamentale differenziarsi dagli altri”. Autenticità, perseveranza e vicinanza al popolo sono quindi gli ingredienti base per una buona riuscita dei propri progetti musicali, specie con un genere che ha faticato tanto ad arrivare dov’è ora, con un seguito globale. Il brano “Sulla Mappa” vuole quindi dare un certa continuità alla storia del rap in Ticino, come una sorta di passaggio del testimone a chi vuole portare avanti il genere sul nostro territorio. Una questione che sta molto a cuore a Mattak, che da sempre ha fra i vari obiettivi professionali l’annoverare la Svizzera italiana nella scena italofona “per far rendere conto all'Italia e agli italiani che la scena non è italiana: è italofona”.
Raccontare la propria realtà
Il concetto di violenza e ghetto tipico dei brani provenienti da oltreoceano non ha infatti trovato terreno fertile alle nostre latitudini. “Non trovavo giusto parlare di una realtà che non ci appartiene”, afferma Maxi B. “Abbiamo altri problemi di cui parlare, come la piaga della droga che dilagava in Ticino negli anni ‘80 e ‘90, che io ho vissuto in pieno vedendo amici scomparir, soprattutto quando c'era il boom dell'eroina. Poi c'è stato l'avvento degli ecuadoriani durante quel periodo molto particolare che aveva visto coinvolto anche il Molino. Erano momenti che andavano descritti e il rap era predisposto per farlo. La violenza l’ho infatti completamente eliminata dalla mia musica, anche perché cerco di non viverla nemmeno nella vita quotidiana e fortunatamente ci riesco. E credo sia stato questo a darmi visibilità, il parlare alle persone e non solo agli altri rapper. È questo il passaggio cruciale per un artista. Bisogna parlare a tutti e non solo alla nostra cerchia di amici e conoscenti che comprendono il nostro gergo. Il rap va vissuto così”.