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Maurizio Binaghi è docente, presidente dell'associazione ticinese degli insegnanti di storia, nonché autore del saggio "La Svizzera è un paese neutrale (e felice)". "Noi in Svizzera siamo felici perché siamo neutrali, anche se il titolo vuole essere un po' ironico, manca forse un punto di domanda", afferma Binaghi a Ticinonews. "Il libro in fondo pone diverse domande e cerca di dare delle risposte. Quello che è chiaro è che il tema della felicità - o anche dell'infelicità - degli svizzeri è un argomento che nella storia si è ripetuto più volte. È un qualcosa che fa parte forse della stessa identità elvetica, quella di interrogarsi su se stessi. Un'altra domanda da fare, forse, è: 'ma siamo davvero neutrali e siamo davvero felici?'"
La felicità è davvero parte degli svizzeri?
"La storia è fatta per porre delle domande, ma spesso non trova delle risposte. Per quanto riguarda la neutralità ci sono delle leggi internazionali, c'è una politica che viene attuata, c'è la deferenza tra quello che è il diritto della naturalità e la politica della neutralità. Il libro cerca di entrare in questi temi e porre degli interrogativi e alcune questioni sul tavolo. Soprattutto in questo periodo, dove il tema della neutralità è comunque importante".
Il libro presenta anche diversi cliché, ma qual è il più vero?
"La cosa interessante dei cliché è che sono da una parte tutti veri, dall'altra tutti falsi. Lo stereotipo è molto interessante perché nasce da qualcosa di concreto, però poi si costruisce attraverso quello che è una sorta di immaginario, realizzato spesso dagli altri. È uno sguardo che gli altri hanno sugli svizzeri, e poi gli elvetici in qualche modo si immedesimano. Perché lo stesso termine svizzero, che viene da 'svittese', nasce come insulto. È uno degli insulti che diciamo durante le guerre; i lanzichenecchi tedeschi davano a questi abitanti dei pascoli, i quali venivano accusati di essere troppo vicini alla natura, poco civilizzati. Il termine 'svizzero' è quindi dispregiativo. La cosa interessante è che a partire invece dal '600, con la scoperta della Alpi come luogo di natura, incontaminato, la Svizzera cambia completamente. Lo stereotipo dello svizzero montanaro come elemento negativo diventa positivo e sul turismo gli stessi elvetici si prendono questo stereotipo e vendono un certo tipo di paese. Ci sono degli stereotipi che vengono messi in discussione, ma anche delle date storiche. La cosa che ho notato scrivendo questo libro, e anche il manuale che stiamo realizzando per le scuole medie, è la grande discrepanza tra la memoria della storia, ma anche l'uso pubblico che se ne fa, e quelli che sono i risultati della storiografica. Per quanto riguarda il 1 agosto, è interessante come la festa nazionale è una festa come tale solo dalla fine dell'800. E anche il famoso patto del 1291 in realtà era sconosciuto fino alla metà del '700. Nella tradizione, invece, la data di fondazione della Svizzera era posta nel 1307. Probabilmente è meglio celebrare il primo agosto perché festeggiare a novembre forse fa più freddo".
Come mai a volte questa storia fatta un po' di cliché sovrasta la storia reale, quella dei fatti?
"E noi stessi la facciamo nostra. Per la Svizzera è un caso molto interessante, perché in realtà la costruzione dell'entità elvetica viene ad esclusione e protezione rispetto a dei nazionalismi di identità molto più forti. Immaginiamo l'unità nazionale tedesca, italiana e ciò viene a rappresentare un pericolo. Quindi per gli svizzeri bisogna costruirsi una tradizione. In fondo la nazione è immaginarsi una comunità, quindi qualcosa in comune. È chiaro che è difficile immaginare una comunità che vada da San Gallo fino a Ginevra e fino a Lugano. La storia rappresenta il modo con cui persone così diverse possono immaginarsi parte di una comunità. E quindi la si costruisce, tante cose si dimenticano, altre si cerca di farle sopravvalutare. E il 1 agosto è un elemento del genere. Questo è un saggio storico ma non è rivolto solo agli storici, è un saggio divulgativo".
Perché è importante smascherare questi stereotipi e riportare alla luce la storia reale?
"Perché in fondo la storia è un po' ostaggio di questa costruzione identitaria. E come cerco di spiegare nella conclusione, l'obiettivo è di liberare la storia da questa catena del bisogno identitario. In fondo gli svizzeri ormai sono una popolazione che ha raggiunto un certo grado di maturazione per poter affrontare la propria storia senza dover sempre ricorrere a determinate costruzioni che secondo me impediscono di vedere veramente quale è stato il percorso. La mia ambizione è di riuscire a mostrare come la storia svizzera possa essere interessante, appassionante, al di là di quello che sono gli stereotipi e la costruzione identitaria che è stata fatta nel corso dei secoli".
Perché la storia svizzera non sembra affascinare così tanto?
"Sono gli stessi svizzeri che a un certo punto costruiscono l'immaginario di un paese, questa isola di pace, che si esclude a livello politico dal resto del continente. Chiaro che le due guerre mondiali hanno anche dato una spinta verso queste elemento. Se noi guardiamo quanto le guerre hanno cambiato i paesi a noi vicini, quanto abbiano cambiato socialmente, per la Svizzera i conflitti sono stati un momento di grande difficoltà, ma che non hanno rappresentato quella rivoluzione che è stata per gli altri stati. Vi è quindi l'idea che la Svizzera si è un po' risparmiata dalla storia. E in fondo, se la storia è conflitto e la Svizzera non ha conflitti, la Svizzera non ha storia".