Le donne liberali radicali ticinesi non scenderanno in piazza per lo sciopero femminista in programma domani a Bellinzona. E questo non perché non vogliano richiamare l'attenzione sugli obiettivi ancora da raggiungere nella parità tra uomini e donne, ma perché considerano lo strumento dello sciopero ormai superato. "La questione delle pari opportunità non riguarda soltanto i partiti di sinistra e i sindacati, bensì tutti", scrivono le donne liberali radicali in un comunicato. Ma "insistere con lo strumento dello sciopero, approccio ormai superato, porta a un divario di genere che pone le donne come vittime assolute della nostra società, una logica che le Donne liberali radicali rifiutano". Abbiamo raggiunto Mari Luz Besomi-Candolfi, presidente DLRT, per capire meglio questo concetto.
Perché considerate lo sciopero uno strumento superato?
“Lo sciopero aveva certamente la sua validità in un altro periodo storico, quando le donne non avevano ancora il diritto di voto. Andare per le strade era un segnale forte per cambiare la 'forma mentis' delle persone, mostrando che le donne possono uscire fuori di casa e battersi per i loro diritti. Ora non abbiamo più bisogno di segnali, ma di risultati. Abbiamo fatto molti passi avanti, ma ancora non è data la stessa uguaglianza tra donne e uomini nel poter praticare, per esempio, la vita professionale. Il punto nodale per noi sono le concrete pari opportunità, ma non è andando per le strade che queste arrivano. Si tratta di agire passo per passo e creare le condizioni quadro affinché ci siano le stesse opportunità per tutti: che ogni persona possa scegliere liberamente se lavorare a tempo parziale o meno, se avere figli o meno. Spesso le donne sono ancora penalizzate: sono costrette a fare il parziale perché non ci sono le condizioni che le permettono di lavorare come vuole. Un problema che si ripercuote anche sulle pensioni, quando le stesse donne faticano ad arrivare a fine mese a causa di minori entrate. È un problema strutturale. Le pari opportunità devono quindi tradursi in soluzioni e progetti concreti. E la base per garantire la libertà e il futuro per ogni persona è un sostentamento economico sufficiente”.
Quali sono secondo voi gli strumenti più efficaci per concretizzare la parità di genere?
“È un lavoro costante, che chiunque di noi può fare, per esempio impegnandosi in un gruppo politico o un gruppo di riflessione. È anche vero che molte donne faticano in politica per un problema di conciliabilità, ma una maggiore partecipazione da parte loro porta alla parità. Ci sono poi anche strumenti in mano alla società civile, come per esempio la raccolta firme. Come donne liberali abbiamo per esempio lanciato l’iniziativa per l’applicazione dell’imposizione individuale. Il cambiamento si realizza se vengono fatte le leggi, promossi confronti e proposte e attuate soluzioni, anche nel mondo del lavoro. Lo sciopero non produrrà una decisione o una legge. Lo sciopero porterà visibilità alle solite persone che, guarda caso, si mettono in luce proprio nel periodo delle elezioni. La parità va ricercata sempre, non ogni quattro anni. Poi se uno vuole scioperare, da liberale dico ‘faccia pure’. Noi sfrutteremo quel giorno facendo altro”.
Non rischia di essere controproducente il fatto che le stesse donne non riescano a mettersi d'accordo su come raggiungere la parità?
“Gli obiettivi sono onorevoli e siamo tutti d’accordo sul tema delle pari opportunità. Ma non sullo strumento: riteniamo che sfilare per le strade sia anacronistico. Anche chiamarlo 'sciopero delle donne' è controproducente: passa un messaggio sbagliato. Siamo dell’opinione che per raggiungere la parità sia donne sia uomini devono impegnarsi a favore di misure che abbiano un impatto maggiore sull'uguaglianza e che riconoscano l'esistenza di situazioni socialmente tabù, come la violenza economica. L’importante è che lottiamo per lo stesso obiettivo: se noi donne abbiamo le stesse possibilità degli uomini, arriveremo agli stessi risultati”.