I negoziati tra Svizzera e UE sono in dirittura d'arrivo. L'intenzione delle due parti è infatti di arrivare un accordo entro la fine dell'anno. Ma quali sono i nodi da sciogliere di questo secondo tentativo di aggiornare i bilaterali? Ne abbiamo parlato con Michele Rossi, ex diplomatico e già negoziatore degli accordi bilaterali.
Sembra esserci ottimismo. È la volta buona?
"La volta buona? Speriamo. Ieri c’è stato un comunicato stampa, ma non una conferenza stampa, questo è già un messaggio da interpretare. I politici non si sono mostrati ai giornalisti anche per non dover rispondere a certe domande. Il comunicato stampa è genericamente positivo, ma c’è un passaggio in cui si dice che i negoziati si spera di poterli concludere entro la fine di quest’anno "se" il contenuto delle trattative sarà soddisfacente. C’è ancora questo "se" che ci fa capire che attualmente ci sono dei punti che necessitano di approfondimento per poter arrivare a un’intesa. Quindi positiva la comunicazione che è stata diramata ieri, però dalla stessa comunicazione si capisce che bisogna lavorare ancora un po'".
Quali ostacoli potrebbero ancora esserci prima dell'accordo?
“C’è un tema nuovo che è stato aggiunto dal Consiglio federale nel corso dei negoziati, che rischia un po’ di rallentare le discussioni. È quello della clausola di salvaguardia unilaterale, di cui si è parlato nelle scorse settimane. La Svizzera ha chiesto di poter introdurre, soprattutto nell’Accordo sulla libera circolazione delle persone, la possibilità di reintrodurre delle limitazioni all’arrivo di cittadini comunitari a determinate condizioni. Si tratta di una clausola che la Svizzera chiede e che dovrebbe, nella prospettiva elvetica, essere unilaterale: la Svizzera dovrebbe poterla attivare in modo autonomo, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Ieri sono trapelate ufficiosamente delle informazioni secondo cui questa clausola potrebbe anche esserci, ma non unilaterale. Che cosa significa? Magari in questa fase le parti stanno negoziando una concretizzazione di qualcosa che c’è già nell’accordo, che dice che in caso di particolare difficoltà di natura sociale o economica, le parti possono adottare delle misure. Questa cosa è già prevista oggi, ma le parti lo possono fare di comune accordo, quindi la Svizzera non lo può fare da sola senza chiedere all’Ue un parere. Se le parti stanno davvero concretizzando questa clausola, che esiste già, significa che stanno ponendo dei criteri più concreti di quelli che ci sono oggi indicati nell’accordo, perché le parti possano sedersi a un tavolo e discutere eventualmente di introdurre delle limitazioni all’arrivo di cittadini comunitari. Ma ribadisco, si tratta di qualcosa che le parti dovranno mettere in atto di comune accordo e non sarà una clausola unilaterale come la Svizzera sperava o spera di poter ottenere”.
Su che cosa Bruxelles è pronta a cedere il passo?
“Probabilmente Bruxelles ha accettato già diverse compromessi. Se nel comunicato di ieri è uscito uno spirito ottimistico, è perché ci sono degli avanzamenti in alcuni dossier, come alle questioni istituzionali dove Bruxelles non chiede una ripresa automatica del diritto, ma una ripresa dinamica che è diversa: la Svizzera ha sempre la possibilità, se volesse, di non recepire il nuovo diritto. Dei compromessi quindi sono già stati fatti, ma il grosso tema che le parti stanno discutendo in questo momento è la clausola di salvaguardia che difficilmente potrà essere unilaterale. Probabilmente stanno discutendo a quali condizioni stanno dando concretezza alla clausola, che già è contenuta nell’accordo in vigore, che permette di intervenire ma sempre di comune accordo”.