
“Stefani non ha chiamato nessun commissario per favorire un candidato”. Con queste parole Fiorenzo Dadò, presidente della Commissione giustizia e diritti, ieri ha replicato alle accuse mosse dai deputati Mps Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, secondo cui “il presidente del Consiglio della Magistratura Damiano Stefani avrebbe fatto pressioni per la nomina di Serena Belotti alla carica di giudice della Camera di esecuzione e fallimenti, contattando personalmente diversi parlamentari che fanno parte della Commissione giustizia e diritti, tanto da mettere in imbarazzo alcuni membri della commissione”. E oggi il Movimento per il socialismo (Mps), ha commentato la presa di posizione della Commissione, spiegando di "prenderne atto con una nota di buonumore". Questo perché, "per usare un'espressione diventata celebre negli annali della politica cantonale, 'bisogna essere caduti dal seggiolone da piccoli' per credere, come sembra fare il presidente Dadò, che qualche membro della commissione avrebbe ammesso di essere stato oggetto di pressioni".
"Uno scenario che mette in evidenza l'ipocrisia dei partiti maggiori"
Sergi e Pronzini, viene spiegato, "si sono limitati a chiedere spiegazioni al governo sulla base di segnalazioni ricevute, ritenendo inopportuno il supposto intervento a sostegno di una delle candidate". Chiarimenti su pratiche che "sanno bene essere tutt’altro che rare nell’ambito delle attuali procedure per l’elezione dei magistrati". Ma vista la risposta, "emerge uno scenario consueto, che non fa che mettere ulteriormente in evidenza l’ipocrisia dei partiti maggiori: da un lato proclamano l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati, dall’altro continuano ad attenersi a rigide logiche di spartizione partitica. È anche per questo che l’Mps chiede di modificare il sistema di elezione dei magistrati, sottraendolo alle competenze spartitorie del Gran Consiglio".
"I soliti problemi"
I deputati del Movimento per il socialismo, nella loro interpellanza, "si sono mantenuti su un piano strettamente istituzionale", ma "ancora una volta, su questa nomina, emergono i soliti problemi". Il primo, spiegano, "riguarda la mancanza di una graduatoria tra i candidati che possa davvero fungere da guida nella scelta. In questo caso, ad esempio, il fatto che il magistrato da eleggere debba possedere — per la natura del posto — una profonda e consolidata esperienza nel campo del diritto delle esecuzioni e dei fallimenti è un elemento fondamentale. Non si può fare a meno di notare, però, come la candidata sulla quale sembra convergere la scelta della commissione sia proprio quella con la minore esperienza specifica in questo ambito". Il secondo aspetto "è quello, classico e tipico, di una lotta di potere tra i maggiori partiti, che si cerca di mascherare dietro un’apparente convergenza. Così, mentre in commissione si profila alla fine un accordo spartitorio — anche in vista delle numerose cariche che verranno rinnovate a breve e che sono già oggetto di trattative, come dimostrato dalle recenti nomine dei procuratori straordinari — si tenta di far ricadere la colpa su presunti difetti del sistema di selezione".