Fino ad oggi in Ticino chi ha subìto abusi da parte di un membro del clero poteva chiedere aiuto in primo luogo al servizio LAV del Cantone o alla Commissione di esperti della Diocesi. Ma perché questo non è sufficiente? “Perché sono di parte”. Myriam Caranzano, presidente GAVA, ci ha infatti spiegato che “in molti casi le vittime hanno perso fiducia nella Chiesa e quindi rivolgersi a qualcuno di cui non ci si fida per raccontare un episodio simile non è possibile. Quindi ci vuole qualcuno che sia realmente indipendente”.
Un modello basato su un’associazione romanda
Un anno fa vi avevamo raccontato del tentativo della dottoressa Myriam Caranzano di portare anche in Ticino un’associazione come la romanda Sapec. Due le intuizioni fondamentali di Sapec: una vittima di abusi sessuali commessi da ecclesiastici può sentirsi più incoraggiata a chiedere aiuto se parla con un’altra vittima e se lo fa a qualcuno slegato dalle istituzioni della Chiesa. Questo modello è replicato nella nuova associazione GAVA. Un gruppo indipendente dalla Diocesi, ma che Alain de Raemy dichiara benvenuto. “Rappresenta un’indipendenza totale, una spontaneità di persone di buona volontà che capiscono come funzionano le persone in chiesa e che tramite le loro competenze accolgono le vittime, anche perché magari lo sono state a loro volta”.
GAVA
GAVA si rivolge alle vittime di abusi sessuali in ambito ecclesiastico. È anzitutto un servizio di ascolto, per un percorso che può passare – se necessario – da una denuncia o da un confronto con la Chiesa e le sue istituzioni, sempre mettendo al centro i bisogni della vittima. “All’inizio la vittima troverà tre persone che hanno già esperienze nell’ascoltare i racconti di situazioni molto delicate, come l’abuso sessuale. Si tratta di due medici e di una psicologa psicoterapeuta, poi in futuro si formeranno anche altri figure dedite all’ascolto empatico”, ha concluso Caranzano.
Una testimonianza diretta, "Non bisogna cadere nel vittimismo"
E tra le vittime che sono a disposizione per ascoltare chi ha subìto un abuso da parte di un membro del clero c’è Raffaella Raschetti. All’età di 10 anni e per un lungo periodo, Raffaella è stata abusata dal parroco del suo paese in Riviera. Denunciato per questo, il prete è stato condannato nel 1984. Ora Raffaella vuole mettere la sua esperienza di vittima al servizio di chi vive lo stesso dolore. Raffaella oggi ha parlato molto serenamente della sua esperienza, spiegandoci che è riuscita a superare la vicenda grazie al suo gruppo di amici, ad altri giovani legati alla Chiesa e a un percorso di psicoterapia. A 10 anni, come detto, Raffaella ha subìto abusi sessuali da parte del parroco del suo paese, ma oggi si è parlato anche di abusi spirituali, un terreno ancora considerato fertile. Inoltre, negli anni Raffaella si è sentita in colpa. Come mai? “È una cosa molto comune in questi casi, perché ti chiedi come mai non si è riusciti a dire di no o parlarne con qualcuno. È questo il principale senso di colpa. Per quanto riguarda l’abuso spirituale posso dire che riguarda il fatto che il parroco di paese era una figura che godeva della stima dei nostri genitori, che ci faceva catechismo e ci diceva cosa era bene e cosa no. Quindi era una sorta di manipolazione spirituale, perché quando avevo 10 anni ancora non capivo. Ma la cosa si è protratta e crescendo iniziavo a vedere le incoerenze e l’ipocrisia”. A una persona che sta vivendo una situazione di abuso o che l’ha vissuta in passato, quale messaggio si sente di dare? “Di avere il coraggio di dire di no. E questo al costo di urlare e scappare. Bisogna dire no, questa cosa è ingiusta. A chi l’ha vissuta voglio dire di non lasciarsi sopraffare da quello che è capitato, ognuno ha diritto a vivere la propria vita a pieno. Nonostante questa cosa faccia male non bisogna cadere nel vittimismo”, ha concluso Raffaella.