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Le criptovalute sono oramai ampiamente diffuse: come funzionano, ma soprattutto sono tutte uguali?
Definizione di criptovaluta
La criptovaluta, detta anche cripto, è una moneta digitale, una sorta di gettone digitale che può avere più funzioni tra le quali quella del pagamento.
Al posto di portafogli fisici, tali gettoni digitali sono custoditi in e-wallet, ovvero portafogli digitali. Per disporre di monete digitali, bisogna rivolgersi a dei broker finanziari o a degli exchanger, ovvero dei servizi disponibili online e che permettono il cambio da una moneta tradizionale a una o più criptovalute. Ma perchè si chiamano crypto? Questa parola racchiude la caratteristica principale di queste monete digitali: crypto, in italiano cripto, fa riferimento al contesto della crittografia, quindi riporta al concetto di protezione-cifratura. Infatti, la crittografia è il meccanismo alla base di queste monete digitali che per attuarsi e funzionare utilizzano la tecnologia blockchain.
Blockchain: la tecnologia alla base delle criptovalute
Il funzionamento delle criptovalute si basa su una tecnologia particolare, ovvero la tecnologia blockchain. In parole semplici, si tratta di un registro digitale distribuito e pubblico, quindi visibile a tutti e che può essere utilizzato per diversi scopi e in ambiti diversi.
La blockchain si basa su un sistema peer-to-peer, ovvero da persona a persona, e costituito da una rete di soggetti partecipanti (nodi) identificabili attraverso i loro computer o device mobili. In ogni computer che partecipa ad una blockchain vi è pertanto la copia del registro digitale, distribuito e pubblico quindi. Va ricordato che le transazioni vengono verificate dai computer stessi che partecipano alla blockchain attraverso funzioni matematiche.
Esistono ad oggi tre principali modalità di consenso sul come avere una copia del registro pubblico e di come svolgere le verifiche delle transazioni e che differenziano quindi i diversi progetti di blockchain, che spiegheremo qui di seguito.
La blockchain che utilizza il sistema proof-of-work, ovvero prova di lavoro, ne è il primo esempio. In pratica i nodi sono i computer che eseguono i calcoli matematici finché soddisfano un criterio calcolato automaticamente dal protocollo della blockchain. Da chiarire che i computer partecipano ad una gara a chi soddisfa prima il criterio stabilito, e per farlo per l’appunto consumano energia. Non è possibile sapere a priori chi vincerà la sfida, per cui non sarà possibile sapere chi registrerà il prossimo blocco e non sarà di conseguenza possibile corrompere questo validatore. Attualmente la proof-of-work è la metodologia più sicura che si possa utilizzare per la validazione dei blocchi.
Più potenza di calcolo verrà investita da un minatore, maggiori saranno le possibilità di vincere le gare matematiche; il guadagno ripagherà i costi di energia utilizzati dai minatori.
Più potenza di calcolo, data dai nodi validatori, significa quindi una maggiore difficoltà nel vincere la competizione tra i minatori con la conseguenza di una maggior necessità di energia elettrica: l’implicazione di dispendio energetico e delle infrastrutture necessarie al funzionamento di tale tecnologia saranno affrontate nel prossimo articolo.
Bitcoin, ad esempio, è un sistema la cui blockchain si basa su questo principio (Vedi articolo precedente su Bitcoin).
Un altro meccanismo di validazione è costituito dalla proof-of-stake, ovvero prova di partecipazione. In questo caso, le transazioni vengono confermate attraverso nodi validatori selezionati casualmente seguendo criteri definiti dall'algoritmo di consenso. Chi vorrà partecipare a questo network di nodi validatori dovrà mettere come garanzia una determinata cifra di token della rispettiva blockchain. Il minatore verrà ripagato per i token messi in garanzia ogni volta che validerà un blocco. Il fatto di avere dei token in garanzia imporrà al nodo validatore di attenersi ad atteggiamenti corretti e in linea con le regole della blockchain proprio per non rischiare di perdere (quale punizione in caso di comportamenti malevoli) i token messi a garanzia. Per questo il meccanismo di validazione viene detto in inglese in “stake”, ovvero viene messa in palio la propria partecipazione. In questo caso l’energia richiesta per la validazione è pertanto quella consumata dal computer (nodo) per rimanere acceso, non vi è un supplementare consumo energetico. Un esempio di utilizzo di tale principio di validazione è la blockchain Ethereum con il relativo gettone digitale Ether. Nel caso specifico, il minor consumo energetico è privilegiato a scapito della maggiore decentralizzazione della proof-of-work.
Infine, un’alternativa consiste nel proof-of-authority, ovvero prova di autorità: in questo caso i nodi validatori sono conosciuti, riuniti in un consorzio/federazione e per l’appunto autorevoli in quanto utilizzano la loro reputazione nel mondo reale (come istituzioni, privati, enti, ecc). Si tratta quindi di nodi ben definiti le cui identità sono note e sono scelti in base al progetto di blockchain ideato. In questo modo, solo i nodi validatori autorevoli si occupano di svolgere le validazioni delle transazioni all’interno della blockchain, abbattendo ogni maggior costo energetico proprio grazie all'affidabilità che il validatore già rappresenta nella società. Per questo motivo, tale procedura garantisce anche un investimento energetico ridotto. La scelta dei nodi validatori “autorevoli” è quindi legata alla tipologia del progetto blockchain e dalla percezione di autorevolezza che i nodi scelti hanno presso le comunità di riferimento.
Criptovalute: dalla tokenomics ai regolamenti
Da quando è prosperato Bitcoin come pioniere della moneta elettronica nel 2009, sono emerse numerose altre criptovalute, diverse sia nelle concezioni che negli usi e alcune lontane dai principi di decentralizzazione caratteristici del sistema Bitcoin.
Sebbene lo stesso Bitcoin non sia esente da sfide, negli ultimi anni sono emerse due tipologie di criptovalute: le criptovalute altcoin e le criptovalute stablecoin, che spiegheremo qui di seguito.
Altcoin e la tokenomics
“Alt” sta per “alternativa” e “coin” per “moneta”. Esse nascono come monete digitali alternative ai bitcoin, le quali si propongono per l’appunto di offrire dei sistemi alternativi a quello di Bitcoin. Le cosiddette altcoin, come con Bitcoin, hanno generalmente ciascuna il proprio white-paper, ovvero un documento originario dove è espresso il funzionamento e per quali scopi possono essere utilizzati i gettoni digitali, nonché i principi portanti. Viene detto pertanto che per ciascuna altcoin vi è la propria tokenomics: essa fa riferimento a come il progetto di altcoin considera la gestione del guadagno entro questi sistemi (da qui tokenomics, ovvero “economia dei gettoni”, dall’inglese token e economics).
Stablecoin e CBDC
“Stablecoin” significa invece moneta stabile. Rispetto alle altcoin e a Bitcoin, il valore di queste monete digitali è ancorato a quello di una moneta a corso legale (fiat), come il franco svizzero o a un valore stabile, come le materie prime, che non è soggetto a grandi oscillazioni di prezzo nel tempo (se non alle oscillazioni del valore stesso che rappresentano), come l’oro. Proprio per questo motivo, la loro volatilità rispetto alle altcoin è bassa, ed in diversi contesti è possibile effettuare pagamenti con questo tipo di criptovalute senza limiti temporali o nazionali. Proprio per il fatto che le stablecoin sono intese come mezzi di pagamento e sono monete “stabili”, queste criptovalute necessitano di garantire, quale riserva di bene o di valuta che rappresentano con il corrispettivo gettone digitale, un maggiore affidamento ad un’entità centrale che ne detiene le riserve finanziarie. Un esempio di stablecoin è Tether (USDT) ed è ancorata al dollaro statunitense. Sul modello delle stablecoin, va considerato il crescente interesse che le Banche Centrali stanno rivolgendo verso le cosiddette CBDC, ovvero le Central Bank Digital Currencies, valute digitali basate su blockchain, che possono essere emesse appunto dalle Banche Centrali, che comporteranno esse stesse nuove sfide e riflessioni.
Implicazioni
Fatta eccezione per le CBDC, sia le criptovalute altcoin, che le criptovalute stablecoin, possono essere create da chiunque. A queste tipologie di criptovalute sono da aggiungersi una serie di progetti di gettoni digitali, promossi come criptovalute ma che non sono riconducibili ad una delle due tipologie. La proprietà di queste iniziative di gettoni digitali, che generalmente promuovono il guadagno speculativo in tempi brevi, è gestita solitamente da privati, creando quindi sistemi centralizzati, nonché senza una chiarezza nei principi e funzionamento. Questo tipo di progetti di criptovalute possono avere come conseguenza delle truffe, tanto da far emergere negli ultimi anni nel gergo il termine dispregiativo shitcoin, per descriverle.
Si è visto come al giorno d’oggi esista una grande varietà di criptovalute, con gestioni e usi diversi. È possibile notare tuttavia come nel caso del sistema finanziario tradizionale in cui si pone particolare fiducia nelle banche, anche nel caso delle criptovalute il tema della fiducia torna ad essere fondamentale. Nel contesto delle criptovalute, bitcoin ad oggi rappresenta l’unico caso di una blockchain ampiamente distribuita dove la fiducia è demandata alla tecnologia, ponendo nuove sfide e riflessioni (Vedi articolo precedente).
A differenza di bitcoin, si è visto come i diversi progetti di blockchain necessitano, in parte o della totale, fiducia non tanto nella tecnologia ma quanto più sull'affidabilità dei promotori che li propongono.
Pertanto, quando si entra nel mondo delle criptovalute la sfida nel sapersi orientare e valutare i vari progetti di gettoni digitali è tutt’altro che semplice. È importante conoscere i principi e il funzionamento dei diversi progetti proposti ed essere consapevoli che la gestione del proprio patrimonio è lasciata alla responsabilità personale: affronteremo il tema della formazione su questi argomenti nei prossimi articoli.
Articolo di: Mjriam Prudente e Maria Luisa Giannetta