Immaginate di avere un figlio adolescente, che d’un tratto mangia sempre meno, dicendo che si tratta di un po’ di dieta in vista dell’estate. Intanto, però, il cibo che tollera è sempre meno, il peso che perde invece sempre di più. Fa fatica a dormire, ha sempre freddo, non vuole più uscire di casa. È magro, anzi magrissimo. Soffre di anoressia nervosa. Vostro figlio è nelle stesse condizioni di tanti altri giovani. Le stime indicano un aumento dei casi di disturbo del comportamento alimentare del 30%. Parliamo di stime perché in Svizzera non esiste alcuna statistica. Un dato però è chiaro: nel 5% dei casi la conseguenza è la morte.
Un solo reparto specializzato
In Ticino esiste un solo reparto specializzato. Prevede cure ambulatoriali e nei casi più gravi il ricovero. I posti letto sono otto, ma i malati molti di più. Attualmente in lista di attesa ci sono una settantina di persone. Una ventina, i casi più critici, attendono un ricovero. Questa è la realtà: nel nostro cantone ci sono malati e famiglie per mesi in lista d’attesa. E se vostro figlio ha meno di 16 anni, la situazione è anche peggiore: nel nostro cantone è disponibile un solo posto letto nel reparto di pedopsichiatria dell’ospedale Civico. Una situazione che secondo i granconsiglieri Danilo Forini (PS) e Giorgio Fonio (Il Centro) può essere definita con un solo aggettivo: intollerabile. “Anche una sola persona che aspetta un ricovero è una persona di troppo”, spiega Fonio ai microfoni di Ticinonews. “Questa, secondo noi, deve essere una delle urgenze della politica, da risolvere nei prossimi anni”.
Un’offensiva politica sul tema
L’intenzione è quella di condurre una vera e propria offensiva politica. Si è cominciato con un’interrogazione inviata ieri al Consiglio di Stato, per poi proseguire con altri atti parlamentari. “Noi vogliamo che si parli del tema dei disturbi del comportamento alimentare, che le famiglie si sentano supportate e, soprattutto, laddove vi è la necessità di un sostegno e di un ricovero, che vi siano le strutture per accogliere queste persone”, precisa Fonio.
Forini: “Investire nella prevenzione e nella sensibilizzazione”
Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare. Il mare e il consenso politico necessario per portare avanti il progetto. “In questo momento è molto difficile affrontare qualsiasi problema all’interno della politica cantonale”, commenta Forini. “Il tema delle finanze cantonali sta paralizzando un po’ tutte le discussioni. È chiaro che dobbiamo fare qualcosa di concreto per risanare le finanze cantonali, ma è importante non lasciare da parte i bisogni più urgenti della popolazione e soprattutto investire sul futuro. Parte di questa offensiva rispetto ai problemi dei disturbi del comportamento alimentare è quella di investire nella prevenzione e nella sensibilizzazione della popolazione”
C’è molto da fare a livello svizzero
La Svizzera in Europa non fa una figura lusinghiera. Sulla prevenzione si investe poco, molto meno di altri paesi europei. I progetti di ricerca sulla salute mentale, poi, sono esigui. E resta molto da fare anche sulla sensibilizzazione della popolazione: lo stigma per chi soffre di un disturbo mentale è un carico ancora pesante da sopportare.
Pedroni: “Manca consapevolezza”
Se in relazione a questa tematica si sua spesso il termine “emergenza invisibile”, è perché non se ne parla abbastanza, nonostante i numeri in crescita. “Sicuramente c'è un grande stigma dietro ai disturbi del comportamento alimentare, perché chi non ha veramente studiato il tema o non è stato affetto, direttamente o indirettamente, fatica a comprendere il problema”, spiega la ricercatrice Giovanna Pedroni, realizzatrice del lavoro di ricerca che ha rappresentato la base su cui i granconsiglieri Giorgio Fonio e Danilo Forini hanno interrogato il Consiglio di Stato. Oltre a questo “nella popolazione c'è una mancata consapevolezza delle conseguenze che può avere un disturbo di questo tipo, il quale viene, oserei dire, banalizzato”.
Scarsità di dati
A impressionare sono soprattutto i numeri sopracitati: una 70ina di persone che aspetta una presa a carico, 20 che attendono il ricovero. Si parla di giovani, in alcuni casi di giovanissimi, che rischiano di morire. E oltre a questo “ci sono pochi studi a livello scientifico”, prosegue Pedroni. “È difficile risalire a dati precisi, perché l'ultimo studio fatto in Svizzera risale al 2010. Questa è veramente una grossa criticità, dato che l'inizio della riconoscenza di un problema parte dal monitorarlo: se già ciò non è presente, è difficile trovare una soluzione”.
Un’età dei malati che si abbassa sempre di più
Molto critica è anche la situazione per i minori di 16 anni, poiché il Centro di cura all'OBV di Mendrisio accoglie i malati dai 16 anni in su. Quelli che hanno un’età inferiore, hanno a disposizione un solo posto letto nel reparto di pedopsichiatria al Civico. Eppure, i dati indicano che l'età di insorgenza si sta abbassando. “Si parla sempre più frequentemente di un esordio ancora prima della pubertà, quindi tra gli 8 e i 10 anni”. Questo “è un drastico problema, perché se i giovani si ammalano, continueremo ad avere una società sempre meno forte, con maggiori problemi in futuro". E questo "ce lo porteremo dietro”.
Le possibili soluzioni
Per Pedroni esistono due tipologie di soluzioni. A breve termine l’unica misura è quella di “potenziare il trattamento”, sia in termini di strutture sia per quanto concerne le persone che curano, visto che il malato “ha bisogno anche di uno psicoterapeuta, di uno psichiatra e di un nutrizionista”. Sul lungo periodo, invece, la soluzione “è di investire maggiormente sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione, ed è quindi molto importante un'interdisciplinarietà tra la politica, l'aspetto più scientifico, coloro che si occupano della sanità e infine i media, perché solamente se questi enti collaborano tra loro si può veramente risolvere il problema”, conclude Pedroni.